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Viaggio nell’estasi con la prima cena al “Principe Cerami”

Ci sono luoghi, in Sicilia, dove l’Isola è custodita, contemplata, quasi venerata, come nei templi o nelle chiese antiche. Ci sono luoghi, in Sicilia, dove le descrizioni non appartengono solo al mondo della parola. La tradizione, in quest’Isola, la si tramanda in tanti modi. Uno di questi è certamente la cucina. Ed è qui, anche in una tavola imbandita, che si può conoscere il concetto di “estasi”. 

Il “Principe Cerami” questo concetto lo ha voluto rinnovare, ringiovanire, sfrondare di quegli aneddoti che potevano apparire un po’ barocchi. Lo ha fatto ritornando nel mondo dell’hotellerie con lo charme e l’eleganza di cui è capace, restituendosi al selezionato pubblico come un amante mancato per tanto tempo. È vero, le stelle si possono anche perdere lungo la strada e non per colpa propria, ma si può ugualmente continuare a camminarci sopra, come sospesi su un sentiero astrale fatto di bravura, sapienza e maestria. 

Così capita che diventi un evento nell’evento il partecipare alla prima cena del “Principe Cerami” nel giorno della riapertura ufficiale del San Domenico Palace di Four Seasons, dove il ristorante è incastonato a Taormina. Sicilia da Gustare ha potuto seguire momento per momento l’accoglienza degli ospiti, il taglio del nastro, il saluto della proprietà, i sorrisi distesi e un po’ accaldati dello scorso 1 luglio, quando il lussureggiante hotel ha riaperto le sue porte, le sue suites, i suoi chiostri dopo anni e dopo attenti restauri, restituendo alla città e al Mediterraneo una delle realtà più eleganti e confortevoli del mondo alberghiero. 

È il racconto della sera, però, su cui ci focalizziamo, una sera in cui abbiamo ritrovato un Maestro della cucina, lo Chef Massimo Mantarro. Un uomo rinnovato, prima ancora di un Cuoco aggiornato. Il professionista Mantarro non ha smesso un solo istante di studiare, provare, pianificare, sperimentare durante i duri mesi di chiusura forzata per la pandemia, ma anche prima, quando hotel e ristorante avevano chiuso per lavori. E l’uomo Mantarro ha assecondato il professionista, ma ha avuto anche il tempo di riflettere, di pensare, di cercare di comprendere dove si sta andando e quali siano, oggi, i veri valori, non solo in cucina. 

“Ho dovuto rivedere il mio pensiero barocco sul San Domenico – ci ha confessato a fine cena lo Chef, che ci ha anche onorato di farci visitare le immense cucine, le distese di banconi metallici e fornelli, di forni e abbattitori, di farci entrare in quel tempio gastronomico dove la materia prima è quasi religione. Un viaggio tecnico che ha seguito quello sensoriale della degustazione. – I miei piatti – ha ammesso lo Chef – prima erano più carichi, più ricercati. Oggi, forse, sono più minimal. Ho adeguato il mio pensiero al nuovo San Domenico, che presenta un ambiente differente, rinnovato, più fresco e dove non potrei più fare la cucina che facevo prima. È anche, forse, un voler andare all’essenza stessa delle cose. Oggi è un punto di partenza per noi e non un punto di arrivo”. 

Chiamiamola “essenza”, allora, anche se la sua cucina l’estasi la ricorda molto da vicino, con quei bilanciamenti perfetti tra acidità e sapidità, grassezza e freschezza, morbidezza e rotondità… L’abbiamo sperimentata in entrée come Astice, caviale Calvisius, zest di limone e crema di zucchine estive o nel Polpo glassato alla soia servito con spuma di mozzarella di bufala e melanzana viola. Ad accompagnarli, dopo il benvenuto con Champagne Bollinger Speciale Cuvée, degustato sin dal pomeriggio, è giunto uno Chardonnay di Borgogna, Mercurey 2017 Château de Santenay. La cura meticolosa della carta dei vini non fa di essa un semplice, freddo elenco di blasonate etichette. È un viaggio, quello particolare e dedicato, che il Principe Cerami ha immaginato di compiere in lungo e in largo per l’Europa, toccando, giorno dopo giorno, gli angoli più reconditi e desiderati delle aree vitivinicole più amate. Dalla Champagne all’Alsazia, dal Nord Europa all’Italia, all’Austria, alla Germania, fino a “visitare” con la mente anche le zone di produzione dei vini biodinamici. Un lavoro certosino, da monaco agostiniano, del sommelier Alessandro Malfitana, che ne spiega confini e contorni con cura sacerdotale, per poi proporre il calice più adatto ad ogni piatto del Maestro. 

“Lo Champagne, se si ha tempo di ascoltarlo, con le sue bollicine fa lo stesso rumore del mare sulla sabbia”, dice una delle didascalie della carta dei vini, a nome del Principe. Un rumore che si fa racconto, come il proseguimento dei piatti di Mantarro. La Tagliatella di calamaro alla carbonara, servita con zabaione all’uovo, guanciale croccante di maiale dei Nebrodi e pecorino siciliano Dop (piatto che già lo Chef realizzava prima della chiusura e che ha rivisto e studiato in qualche aspetto…) è un gioco di specchi, l’occhio che immagina un gusto e il palato che se ne ritrova un altro, ancora più desiderato e, forse proprio per questo, più amato. I Bottoni di pasta fresca ripiena di alici, ricotta di pecora, pangrattato e pomodoro sono forse l’emblema della maschera che cade, del personaggio che si rivela: il Cuoco ama la Sicilia in tutti i suoi aspetti e la racconta con la semplicità e grandiosità che lo hanno sempre contraddistinto nella sua carriera. Il seguito del racconto è stato affidato a un Rombo chiodato servito con nocciole dell’Etna, biete scottate e cialda al nero di seppia. A far calare il sipario sullo spettacolo gastronomico, infine, il dessert con la maestria dell’executive pastry chef Vincenzo Abagnale, una reinterpretazione della Pavlova, meringa e lampone, con l’accensione, quasi a mo’ di rito, della vaniglia Tahiti con l’espressione di tutto il suo profumo, con a fianco un sorbetto di fragola, lemon grass, gelatina di fragole e spuma di latte, su cui è giunta la benedizione di un Maculan Torcolato 2018

Non c’è stupore, alla fine, quando il Maestro, seduto accanto a noi, finito il primo servizio che riaccende innumerevoli, eleganti stagioni, si confessa, ci illustra i progetti non solo gastronomici del San Domenico e ammette che adesso, dopo questi anni di chiusura, l’obiettivo ha una parola d’ordine: la qualità, in tutte le sue forme, in tutte le sue aree, in tutte le proposte ristorative dell’Hotel, dal Rosso (all’insegna della tradizione italiana e siciliana) ad Anciovi (con una cucina più fresca, giovane, a bordo piscina) fino al Principe Cerami, che riprende in mano le redini del viaggio, anch’esso con una visione ringiovanita e moderna. 

Massimo Mantarro, ne siamo convinti, non ha mai smesso di percorrere sentieri più alti, dove le stelle fanno parte del paesaggio, che una cucina tanto reale quanto astrale come la sua non può non re-incontrare un giorno. Ma non è questo che conta, oggi, ci fa comprendere lo stesso Chef. L’importante è essere tornati, per riprendere il viaggio verso quell’estasi già conosciuta e ancora desiderata…

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