‘Luna Nova’ e vecchia saggezza. Gli stellati Massimo Mantarro e Tommaso Luongo in cucina parlano la stessa lingua e condividono lo stesso messaggio: il futuro, ma anche il presente, è verde. La cena evento al giardino Belvedere è un tripudio di colori e la riscoperta della dolcezza e della versatilità delle verdure.
Al San Domenico Palace, Four Seasons Hotel di Taormina, da sempre si incontrano e si alternano ospiti illustri e le loro arti. Ironia della sorte o, meglio, rivincita della vita e della sua essenza modaiola e fugace?
L’ex convento domenicano, una struttura religiosa i cui principi di costruzione erano il diniego della mondanità e la tensione all’eternità, è stata invece una tra le più importanti dimore di intellettuali e uomini di cultura e donne di spettacolo. Personaggi la cui arte cambiava di decennio in decennio, man mano che cambiava la sensibilità dell’uomo e le mode del momento. Citiamo, non in maniera esaustiva, la poesia di Johann Wolfgang von Goethe, la fotografia di Wilhelm von Gloeden, la musica di Richard Strauss, la letteratura di Ernest Miller Hemingway, e poi il cinema di Marlene Dietrich, e infine la moda di Dolce e Gabbana o di Franca Sozzani.
Ma in ogni simposio che si rispetti, anche di questo nostro così particolare perché diacronico, i protagonisti sono sempre il cibo e il vino, un connubio che al San Domenico diventa arte tra le arti, o arte delle arti.
Così, lunedì 17 luglio, uno dei giorni più caldi della storia, più precisamente quella sera del mese in cui il rinnovamento dei propositi e delle abitudini è gentile esortazione anche di quella luna invisibile nel cielo, nel giardino Belvedere del San Domenico, che separa la baia di Naxos dal promontorio di Castelmola, gli chef stellati Massimo Mantarro, executive al Principe Cerami a Taormina, e Tommaso Luongo, stella verde al Mirto di Ischia, si esibiscono in una performance congiunta, tutta incentrata sul soggetto più caro a entrambi: il vegetale.
Tra Ischia e Taormina c’è un’identità condivisa che passa per l’idioma, soprattutto per quello peculiare del cibo. Luna Nova, il nome della serata evento, è solo la summa di una vicinanza culturale, che si è riproposta in ogni piatto del menu dedicato e in ogni accoppiamento con il nettare di Bacco.
L’entrée è all’insegna dei colori di stagione, felicemente incarnati in pomodorini datterini gialli e rossi, proprio come la bandiera Sicilia, che ospita questa sontuosa cena. Chef Tommas Luongo ha proposto il suo sorprendente accostamento in dolcezza, con il pomodoro e pompelmo marinato e adagiato nell’acqua fermentata degli stessi. Chef Mantarro fa contraltare con una ‘pizza’ di scarola in diverse consistenze, con capperi e olive. Infine, una focaccia appena sfornata con misto datterini confit e zeste di limone e un cestino friabile di lamponi con crema alla mandorla e mentuccia fresca.
Se l’incipit determina lo svolgimento del tema e anticipa il registro linguistico, già dai primi morsi, pardon battute, è chiaro che la declinazione del vegetale sarebbe virata alla sua innata dolcezza, che si traduce anche nell’accoglienza del contrasto.
Con la prima portata, la Carota Diodata di chef Tommaso Luongo diventa chiaro quanto accennato: la dolcezza della carota in doppia consistenza è protagonista assoluta del piatto, tanto da essere accentuata anche dalla sapidità delle alghe croccanti, dalle spezie e dalle altre erbe sapide.
Il piatto dello chef Mantarro, l’Arcimboldo di verdure di stagione, continua a giocare sulla varietà di consistenze e di sapori delle verdure di stagione, cotte e crude. Peperoni, gli immancabili datterini, funghi piastrati, fettine sottili di ravanello, tutto adagiato su una mousse di cicerchia e accompagnato da un fondo bruno sapido il giusto da invogliare alla scarpetta, che non si disdegna mai… nemmeno al cospetto della baia di Naxos.
Il capitolo principale del menu è un elogio alla tecnica e alla scienza degli alimenti. Il ‘Ris8’ di chef Luongo è una provocazione, un gioco, perciò un piatto serissimo. Riso Carnaroli e Riso Venere, due ingredienti e quattro metodi di cottura, affumicatura, fermentazione, bollitura, mantecatura, bastano a creare una zuppa sapida, ricca di consistenze e sapori.
Non appena il gusto sembra aver deciso di intraprendere sentieri nordici, ecco che lo chef Mantarro, non senza eguagliare chef Luongo nella tecnica, sterza deciso di nuovo verso la Sicilia. La via imboccata non può che essere quella della caponata, nella sua peculiarissima versione. O forse sarebbe il caso di definirle ‘versioni’.
La Caponata dello chef Mantarro ricorda una parmigiana, nella sua perfezione geometrica, un parallelepipedo di melanzane, le più dolci mai mangiate, pomodoro, zucchine e cremina di mandorle. Ma a sorprendere non è tanto la caponata che si mangia, quando quella che si annusa, che si percepisce impalpabile nell’aria: il ‘distillato di caponata’ è delicatamente spruzzato da un’ampolla elegante nella fetta di pane di segale d’accompagnamento, come tradizione comanda.
In una cena così votata alla dolcezza, sono proprio le portate di pasticceria a dare un twist interessantissimo al plot. Nel predessert la crema di orzo, la polvere di olive e il mix di aceti, mele e fichi, sono riusciti a ricreare un intrigo di sapori fresco, pulito, ma mai troppo dolce. Merito anche del sorbetto di ibiscus smaliziato da quella fogliolina di salicornia, che rende tutto super intrigante.
Anche nel dessert, una magnifica composizione di arte gelata che si mischiano e si integrano a prevalere era un sapore fresco, che rimandava ai prati fioriti e al loro odore primaverile. Il gelato alla pesca tabacchiera e la granita di tagete rinfrescano in una notte afosa. I petali del fiore, con il loro retrogusto amarognolo, equilibrano il dolce, rendendolo sempre nuovo cucchiaino dopo Cucchiaino.
Per finire 3 piccole chicche, firmate San Domenico Palace: caramellina di mou e obulato di riso, tartufino al cioccolato e arachide, caramella morbida limone e zenzero. E tra questi mignon, esplosioni di dolcezza che non arriva mai a essere stucchevole, c’è un segno concreto di un futuro possibile, fatto di alternative sostenibili. Ciò che avvolge il mou, come plastica, è invece un fogliettino trasparente e sottilissimo fatto di amido di riso, incolore e insapore a edibile.
Così le parole, sono diventate azioni e poi piatti. E sì, si può affermare con certezza, e con tanto gusto, che il futuro può e deve essere green!
Aggiungi un commento