Teruar, la manifestazione che promette di raccontare il mondo del vino etico, per questa terza edizione ha deciso di sorprendere tutti gli appassionati regalando un momento dove la storia del vino si intreccia silenziosamente con la magia del cinema e dei suoi racconti.
Ad aprire la manifestazione sarà domenica mattina l’anteprima nazionale del documentario di Andrea Mignolo, Le Confessione di un Naturalista, con quattro proiezioni nella giornata di domenica, presso Palazzo Bonelli Patanè, in via Francesco Mormino Penna.
Andrea è un regista italiano nato a Vibo Valentia in Calabria, poi il suo lavoro nel mondo dell’editoria lo ha portato a vivere in giro per il mondo e così conosce Siena, la Toscana, la Spagna, per scoprire l’Asia e vari paesi europei qui le diverse realtà con cui è entrato in contatto ne hanno alimentato la curiosità e la voglia di sperimentare la stessa che tredici anni fa lo ha portato ad avvicinarsi al mondo del cinema e dei documentari.
Con la sua sensibilità e dedizione ci accompagnerà alla scoperta della laguna di Venezia attraverso un racconto appassionato e appassionante che pone al centro dell’intera storia l’amore e la dedizione di Gastone, un custode dei vecchi vitigni veneziani, un agricoltore che ha saputo con l’amore e il rispetto per la terra salvaguardare quei vitigni reliquia riuscendo a donarceli oggi.
Come nasce la tua passione per i documentari?
Mi sono laureato in Scienze della comunicazione indirizzo cinema, ho portato una tesi su un adattamento cinematografico dal libro al film di Arancia Meccanica. Poi mi sono avvicinato al mondo del vino e da lì è nata la mia passione. Mi piaceva e mi piace tutt’ora raccontare le storie attraverso le immagini.
Il tuo primo lavoro lo hai presentato l’anno scorso sempre a Teruar “Il Marsala oltre il Marsala”…
In realtà quello non è stato il mio primo lavoro. La passione per il mondo del vino nasce qualche anno prima a Venezia dove ho scoperto il mondo del vino naturale attraverso un progetto che è antecedente a questi ultimi e sta per uscire come candidato in dei vari festival. Avevo scoperto la storia di un’Associazione di volontari, nella laguna di Venezia, che recupera delle piccole vigne abbandonate, cercando di sottrarle all’incuria e al bosco che le avrebbe ricoperte. Non sono dei professionisti ma la loro idea di recupero di questi vitigni mi ha affascinato. Adesso producono vino per virtù e necessità naturale e sono seguiti da delle figure di primo piano nel panorama veneziano. Il loro è un racconto di recupero del territorio. La differenza tra un vino convenzionale e uno naturale si avverte subito, nel gusto, nei colori, nell’idea stessa del vino che si produce, approfondendo questi aspetti con loro mi ha colpito l’approccio del vignaiolo e il suo legame con la natura e la tradizione. Il loro rapporto si gioca su questo stretto equilibrio tra tradizione e la voglia di sperimentare, tra l’essere un custode da una parte e un innovatore dall’altra. Questa alchimia mi ha stregato e da allora ho iniziato a interessarmi alle loro storie.
Le Confessioni di un naturalista è il titolo del documentario che presenterai durante Teruar. Ci vuoi raccontare qualcosa?
Posso dirvi che sono rimasto colpito da Gastone il protagonista di questo documentario. Lui è un uomo semplice che ha imparato dalla terra il modo migliore per prendersene cura è un autodidatta ma negli anni a Venezia è diventato per molti un maestro, un cultore di antichi vitigni. Siamo su quest’isola della laguna di Venezia Sant’Erasmo, un territorio se vogliamo ingrato per la produzione di vino, ma è riuscito con dedizione ad assolvere questo ruolo quasi leggendario di Custode dei vitigni storici come la bianchetta, il raboso e la dorona che si riteneva scomparsa. Durante un’alluvione del 1966 che colpì la laguna tutti i contadini persero la vigna perché l’acqua salata aveva raggiunto le radici, il suocero di Gastone invece riuscì a salvarle e sono arrivate fino a noi grazie a lui. Oggi Gastone coltiva viti di 120, 130 anni a piede franco e produce vino senza appartenere a nessun movimento, libero da qualsiasi etichetta, Gastone è Gastone il custode di vitigni reliquia che ha combattuto con passione e tenacia per custodirli fino ai nostri giorni. Impossibile non raccontare la sua storia.
Come definiresti il tuo rapporto con il vino?
Per me il vino è sinonimo di condivisione e convivialità, è un filo sottile che lega destini e persone, racconti e immagini di un vissuto. Io lo associo all’idea di viaggio e scoperta di un territorio. Mi piace il vino on the road quello che assaggi insieme al produttore, ne bevi un calice con lui magari in vigna o in cantina e quel sorso riesce a raccontarti sempre qualcosa in più. Vivi un’esperienza in cui il vino diviene il protagonista, parli con una persona, in quel luogo, in quel momento è questa la mia idea di vino: gustare e godere di un vino con chi lo ha prodotto, ascoltando le sue idee e avvertendo le sue sensazioni. Per questo faccio i documentari mi piace capire il vignaiolo e il territorio, la loro relazione, come è stato interpretato quel vitigno, cerco di compiere un viaggio attraverso il vino.
E del vino siciliano naturale cosa ci dici?
Vorrei fare l’ambasciatore del vino siciliano… Mi piace davvero tanto! Con la Sicilia ho un rapporto speciale è un mosaico di un territorio unico nella sua diversità.
Se ti chiedessi che vitigno saresti?
Senza dubbio ti risponderei il Catarratto. È un vitigno che non tutti riescono a lavorare bene però quando hai la fortuna di conoscere qualcuno che riesce a interpretarlo bene viene fuori un vino folgorante. È un vitigno che non ha la fama e la celebrazione del grillo però con il territorio giusto dà delle grandissime soddisfazioni.
Vino naturale siciliano fa rima con Teruar. Qual è il tuo legame con questa manifestazione?
Teruar è una bellissima festa del vino, oggi ci sono tante fiere legate al vino naturale che si sta sicuramente strutturando di più rispetto agli anni passati, Teruar invece mantiene questa idea genuina di passione verso questo mondo. I vignaioli che sono presenti a Scicli hanno questa grande passione che quando parli con loro nasce uno scambio interessante. Ogni volta con molti di loro riesco a creare questa sintonia, sono capaci di condurmi in questa dimensione di viaggio e scoperta del loro territorio. Anche gli avventori a Teruar sono sensibili, hanno voglia di sperimentare, di assaggiare e la grande forza di Teruar è proprio questa, il vignaiolo si mette in gioco, anche se qualcosa non piace si crea sempre un confronto propositivo e costruttivo. D’altronde la differenza tra il vino convenzionale e naturale è la voglia di chi lo produce di proporre la propria idea di vino correndo il rischio che possa non piacere a tutti. È condividere, è come se tutti noi fossimo là pronti a dire: “Vogliamo migliorarci tutti insieme e questi feedback ci aiuteranno a crescere. Al vignaiolo a trovare nuovi spunti, e a chi come me le racconta a trovare nuove storie. È un momento di confronto e la volontà di mettersi in gioco. Da parte mia sarò aperto al confronto con chiunque voglia farmi delle domande sul mio documentario, mi metto in ballo anche io insomma siamo a Teruar che si aprino le danze o in questo caso le bottiglie…
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