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Street Food in Sicilia – Ovvero: delle sicule vacanze di Bennie e Connie

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Abbiamo scritto di tutto sul cibo di strada (detto anche street food, giusto per rispettare la nostra natura cosmopolita), celebrato fritture e arrustute, lottato con guelfi arancini e ghibelline arancine per riaffermare le nostre radici cultural-culinarie, che in una Sicilia sempre in contraddizione con sé stessa, affondano le unte mani nelle cucine dei vicoli e “vanedde” di queste antiche metropoli. 

Ma immaginiamo due giovani inglesi, Bennie e Connie (al secolo Bernardo e Concetta) figli di “emigrati arrinisciuti” che decidono di trascorrere una vacanze dal siculo parentado, che in whattsappiana riunione stila un menù tradizionale per i windsoriani ospiti. 

Dobbiamo essere veramente preparati per riceverli, perchè in Sicilia ogni pietanza è un libro di storia con cibi che risalgono alla notte dei tempi quando le moschee dividevano lo spazio con chiese e sinagoghe, dove la convivenza e l’integrazione tra culture che si accavallavano e sommavano, si sono fatte a suon di grassi e i “n’grisi mancu i viriamu(trad. gli inglesi non li tenevano in opportuna considerazione)! 

Arabi, Spagnoli, Francesi, Ebrei, chiunque ci ha ceduto qualcosa della propria tradizione culinaria che in Sicilia è diventata arte da gustare, assaporare, rielaborare e soprattutto: digerire! Perché il nostro stomaco, chiunque sia stato l’avo straniero che dono ce ne fece, è elastico.

E allora apriamo la porta al nipotame che si ritrova accolto da cinquanta persone davanti ad una “tavolata” che liimmerge in un film di Coppola con i parenti più giovani che, facendo sfoggio delle certificazioni di inglese, gli racconteranno le portate. 

Street Food: da Palermo a Catania con Benny e Connie

Ma andiamo al menù palermitano della nonna, che vista la breve visita di Benny e Connie deve concentrarsi in un’unica maratona culinaria che ripropone in casa il famoso street food, “piccchì chiddu è n’grasciato”, partiamo!

Antipasti:

  • Mini-panini ca meusa. Cibo “altamente” tipico dello street food palermitano, nella versione schietta e maritata, ovvero con le sole interiora del virile animale o aggiungendo la virginea ricotta per lo sposalizio.
  • Mini-Arancine e non arancini, spieghiamolo bene ai nostri ospiti, per evitare lotte fratricide tra catanesi e palermitani! Aggiungiamo che a Palermo, se ripiene di ragù, sono “a carne”, se ripiene di burro, prosciutto e mozzarella, sono “a butter” cioè a Burro.
  • Panelle e crocchè. Ovviamente le raccontiamo insieme perchè a Palermo il panino si fa “cu panelle e crocchè”! consigliamo ai pargoli di aggiungere gocce di limone fresco, giusto per sgrassare.
  • Sfinciune classico, sperando che gli interpreti abbiamo ben studiato come tradurre “scarsu ri ogghio e chinu ri pruvulazzo” per raccontare la tradizione degli “abbanniatori” che lo vendono in strada in motoapi variamente colorate. La parola sfinciune deriva da “spugna”, infatti l’impasto diventa simile ad essa, assorbendo la salsa di pomodoro, cipolla, acciughe, origano e caciocavallo che gli viene “buttata” sopra, in gran quantità.
  • Verdure in pastella cardi, carciofi, cavolfiori e chi più ne ha più ne metta, intinti in una pastella di farina, acqua e lievito di birra; qualcuno aggiunge all’impasto acqua frizzante o birra per darle una lievitazione più esotica. 

E adesso andiamo all’immancabile primo della sicula ava, che in questo piatto sfoggia tutta la sua potenza versus la nuora “catanisi”, che mai potrà lontanamente imitarla! Sua maestà:

  • Anelletti al forno ovvero, “pasta a fforno!” benchè tipico delle domeniche anni ’80 passate al mare, questo è un piatto che non può mancare in ogni variante: con uova sode, formaggio, “mollica atturrata” spolverata sopra etc etc..una sorta di salva avanzi.

A questo punto però i ragazzi, giusto per digerire, chiedono di fare una passeggiata per i mercati storici insieme ai cugini, ma non sanno il pericolo che li attende, poiché i mercati siciliani sono pieni di altro cibo immediatamente fruibile: e che fa, una volta che ci sei non lo assaggi? E da lontano si “vide levarsi un fil di fumo” dalle griglie accese, Ladies and Gentlemen, si ricomincia:

  • Stigghiola, È un altro piatto appartenente alla tradizione povera palermitana e non è proprio per tutti.. La stigghiola deriva da un piatto greco – il Kokoretsi – di origine molto antica. Tratta di una budellina di agnello o capretto cotta sulla brace dopo essere stata arrotolata attorno ad un cipollotto o stelo di prezzemolo. A fine cottura sale e limone come se piovesse. 
  • Musso, quarume e frittola, Anche questi piatti sono stati creati per sfruttare ogni parte dell’animale. Per mussu e carcagnoli si intendono le cartilagini delle zampe e del muso del bovino, che vengono lessati in acqua salata e tagliati a cubetti da mangiare semplicemente con sale e limone spremuto; nella versione chic si possono trovare con aggiunta della mascella e della lingua, conditi con sedano, carote, cipolle rosse e olive verdi schiacchiate. La quarume invece comprende frattaglie di manzo o vitello bollite o lessate in acqua salata a cui vengono aggiunte le verdure utilizzate per fare il brodo. Va consumata calda con tutto il brodo! Ovviamente per strada viene servita in comodi piattini di plastica che bruciano le dita.
  • Polpo bollito, esposto intero in posizione eretta nei banchi del mercato “auso marionette”, che  vengono semplicemente bolliti e serviti caldi a pezzettoni con uno spicchio di limone. 

Ora, posto che la nonna prima di uscire ha raccomandato ai siculi nipoti di non lasciare digiuni i cugini n’grisi (inglesi), vuoi che camminando non si assaggi un dolcino preso al volo nelle bakery del centro storico? Pare brutto, che devono dire Bennie e Connie. Allora scegliamo tra:

  • Iris, (rigorosamente fritta!) pane morbido lievitato che racchiude un ripieno di ricotta dolce e cioccolato fuso. Il dolce tipico della tradizione dello street food palermitano prende il nome dall’opera omonima di Pietro Mascagni, quando il pasticcere Antonio Lo Verso creò il dolce in onore della prima, nel 1901. 
  • Cannolo, il re della tradizione pasticcera siciliana. Lo hanno inventato le suore di clausura, che gli hanno dato il nome della canna di fiume sul quale veniva avvolto l’impasto. Tradizionalmente il cannolo è composto da una cialda fritta che viene farcita con una crema di ricotta, a cui vengono aggiunti canditi e gocce di cioccolato. 

E dopo questo tour de force i nostri giovani stremati e sconvolti, tra abbracci e baci con annesso scruscio che più risuona e più i vicini si mmiriano, salutano la trionfante nonna e si apprestano a continuare il tour a Catania, dall’altra latata della famiglia; riusciranno i nostri giovani eroi a tornare indenni a Londra e indossare ancora i vestiti dell’andata? Vedremo…e questa volta, l’assassino, non è il maggiordomo.

PH Credits: Massimiliano Ferro

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