Il bucato steso al sole ad asciugare tra le piante diffonde una scia di citronella e sotto il grande gelso, il paniere di vimini con gli ortaggi appena raccolti dall’orto, profuma di fresco. Vien voglia di allungare la mano e di portare in bocca quei pomodori rossi, invitanti. E’ con semplicità che i padroni di casa, Francesco e Marta Vergara, padre e figlia, danno il benvenuto agli ospiti della fattoria didattica Santo Pietro, nell’agro di Torrenova, lungo la regia trazzera che collega Sant’Agata Militello a San Marco D’Alunzio, nei Nebrodi, in provincia di Messina. Alla masseria Santo Pietro, ammantata da secolari querce ed uliveti, a 50 metri di altezza sul livello del mare, natura ed archeologia con il monastero bizantino di San Pietro di Deca del IX secolo, un unicum di straordinario interesse, s’intrecciano lungo ben dodici secoli di Storia. Qui si sono avvicendati romani, bizantini, arabi, normanni lasciando, dalla conservazione dell’olio nelle giare di terracotta ai metodi di raccolta dell’acqua nelle gebbie, le loro impronte. Custodisce un mondo arcaico che però è ancora vibrante di vita, in un gioco di rimandi tra ricordi e progetti in itinere.
“Le mie estati e quelle degli altri miei quattro fratelli, erano estati silenziose perchè ancora non c’era l’autostrada. Qui andavamo a caccia di lucertole, giocavamo a nascondino tra gli alberi, andando su e giù per la campagna. Mia sorella Mariella da provetta disegnatrice qual’era, fece persino una mappa dei nostri luoghi con i nomi che avevamo inventato. C’era l’albero nave, la casa dell’acqua buona ed altri nomignoli che nascondevano i nostri piccoli segreti”.
Si emoziona ancora Francesco Vergara Caffarelli, 65 anni, storico, già direttore della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, quando la macchina del tempo gira la manovella all’indietro. Anche per Marta, 28 anni, una laurea in archeologia, imprenditrice agricola, Santo Pietro è il luogo del cuore.
“Trascorrevo parecchio tempo con mia nonna Beatrice, Bice per tutti, che visse fino a 101 nel pieno possesso delle sue facoltà mentali. Passeggiando e chiacchierando con lei, sempre con una cappello di paglia a coprirle la testa e l’immancabile filo di perle attorno al collo, si andava alla ricerca di un ortaggio, di un albero di meline selvatiche o di un cespuglio di more. Mi ha insegnato soprattutto – continua Marta – che ogni stagione ha i suoi frutti e se oggi ho deciso di dedicarmi alla mia azienda di famiglia, lo devo a lei. Piccole ma importanti lezioni di vita di campagna che condivido con quanti, bambini e adulti varcano la soglia del nostro cancello”.
L’imponente portale marmoreo del XVIII secolo sulla strada statale 113, dischiude le porte di un’ antica dimora storica nobiliare che conserva intatto il fascino di un’azienda agricola biologica dove s’innestano tradizione ed innovazione. Acquistata il 3 settembre del 1818 da Don Nicolò Cupane, magistrato originario di Mirto, nel 1934 perviene al IX Duca di Craco, Corrado Vergara Caffarelli, marito di Maria Cupane ed alla sua morte, Santo Pietro passerà a Fortunato, papà di Francesco, X Duca di Craco. Ancora oggi, Santo Pietro è la casa dell’ “oro verde” di Sicilia con il suo Museo dell’olio dove sono conservate 80 giare in terracotta, alcune delle quali incassate nella muratura per garantire, secondo l’ antica usanza, la temperatura ottimale della conservazione dell’olio, durante la calura estiva. Il magazzino dell’olio, dall’alto soffitto incannucciato, racchiude un patrimonio d’inestimabile valore socio- culturale dove ogni più piccolo strumento, da quello usato per la misurazione dell’olio al coppino che serviva per non disperdere neanche una goccia di quell’olio che dai silos del frantoio posto in sommità si travasava nelle giare, è il testamento d’amore per la terra che i Vergara si tramandano da generazioni.
“Con i miei fratelli produciamo circa 80, 100 quintali di olio extravergine biologico della Dop Valdemone – spiega Francesco Vergara – risultato delle cultivar di Santagatese, Ogliarola Messinese e Minuta,il marchio dell’eccellenza olivicola del territorio nebroideo”. La tenacia è il punto di forza di Francesco e Marta. “Nel 2007 un incendio distrusse più di 800 piante secolari di ulivi- racconta papà Vergara- ma noi non ci siamo arresi e abbiamo caparbiamente piantato 4 mila alberi di ulivi di cultivar spagnola Arbequina”. Nei 50 ettari di terreno si coltivano anche agrumi, alcune qualità di manghi che nel messinese trovano ottime condizioni pedoclimatiche e di recente anche coltivazioni di lime innestati su alberi di limoni di 40 anni.
“Ho voluto anche un orto per offrire ai miei ospiti – dice Marta – le verdure fresche, di stagione, così come mi ha insegnato nonna Bice di cui conservo le ricette delle conserve che preparava per tutta la nostra grande famiglia”. Santo Pietro, che offre un’ospitalità di tipo rurale nelle sue case vacanze sparse attorno la grande casa padronale immersa tra colorati oleandri e bounganville, maestosi alberi di pini e palme, diventerà anche una fattoria sociale. “Ho appena preso l’attestato per la pet therapy – dice con entusiasmo Marta mentre accarezza la famiglia di asini con la piccola Princess che si fa largo a colpi di testa per prendere la sua porzione di carezze e di cibo dalle mani della sua amica – ai bambini sarà data la possibilità di stare qui, in assoluta sicurezza con i nostri animali tra cui anche galline, cani ed una coppia di pavoni”.
Nel team Vergara, anche Bruno Bonamini, 30 anni, ingegnere ambientale con una lunga esperienza nel campo dell’educazione ambientale. “ Dai 2 ai 99 anni – spiega – facciamo vivere e scoprire la natura, giocando con i sensi, portando i nostri visitatori sulle tracce del giacimento di biodiversità che si trova a Santo Pietro, alle porte del Parco dei Nebrodi. Si scoprono tracce di piccoli mammiferi, del passaggio delle volpi, di tartarughe e anche di granchi di fiumi. Alzando lo sguardo- continua Bruno- si riconoscono in volo i rapaci, come le poiane”.
Una full immersion in un’azienda agricola che ha nel dna della sua mission,il rispetto della natura. “Facciamo vedere -spiega Marta-come sia possibile prendersene cura seguendo il circuito virtuoso di riciclo degli scarti in campagna. Dalla realizzazione di un orto con la pacciamatura della lana di pecora per contenere le erbe spontanee al viaggio dell’acqua che dalla sorgente arriva seguendo il percorso di gravità alle gebbie. Ed ancora, la visita al frantoio con gli archi in pietra e le macine a molazze di varia epoca ricavate da enormi massi scavati a mano, i torchi per la spremitura, raccontano la storia di un prodotto, frutto di oltre mille anni di civiltà rurale”.
Accompagnati dall’inseparabile Maya, la golden retriever che vive con loro da 14 anni, la visita a Santo Pietro è molto di più di una semplice “gita in campagna”. E’ un’ esperienza multisensoriale, arricchita dalla scoperta, en plein air, di curiosità storiche. Ed è proprio durante le sue estati trascorse qui che Marta, decide che da grande avrebbe studiato archeologia.
“Già all’età di sette anni avevo scoperto una delle macine in pietra e poi in seguito, armata di zappetta e paletta portai allo scoperto, uno dei mascheroni apotropaici di pietra ricoperti di terra posti sulla gebbia – spiega Marta – quasi dei numi tutelari a protezione dell’acqua e della casa”. Ma per lei, Santo Pietro, come per i suoi ospiti, è uno scrigno di tesori, introvabili altrove. Il fondo Santo Pietro appartenne per secoli al monastero bizantino di San Pietro di Deca, fondazione dell’ordine basiliano. “Avevo 12 anni quando l’equipe di archeologi di Vienna iniziò una campagna di scavi per portare alla luce la bellezza di un monastero – racconta Marta – a pianta ottagonale con cupola circolare coperta di tegole, i due ingressi ad arco, le otto nicchie irregolari e le bifore ai lati dell’ottagono”. Conosciuto dagli abitanti come il “Conventazzo” perchè adibito a rifugio dei pastori, dal 2007 la famiglia Vergara Caffarelli lo ha donato alla Soprintendenza ai Beni Culturali che lo tutela in quanto è un rarissimo esempio di cuba conservatisi in Sicilia. Ha una particolarità. “Il ritrovamento di una moneta d’oro con l’effige dell’imperatore bizantino Michele II (820-829) – spiega Francesco con passione da storico – ha consentito la datazione del monastero agli inizi del IX secolo dopo Cristo”. Francesco e Marta, seduti ai bordi della piscina della masseria, si scambiano uno sguardo complice. C’è ancora tanto da fare ma a Santo Pietro, il futuro ha radici lontane.
(info e prenotazioni ai seguenti numeri: 3356876263 – 348 8194572)
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