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Piero Selvaggio.

Ambasciatore della cucina italiana e siciliana in particolare. In tanti anni, sin da quando decise di aprire il suo Valentino negli Stati Uniti, dove emigrò a soli 18 anni, ha raccontato nei piatti il valore della sua terra d’origine. È Piero Selvaggio, famoso ristoratore modicano, che nel 1972 inaugurò il suo primo locale a Santa Monica (California) facendo così conoscere non solo la bontà del Made in Italy, l’eccellenza di alcuni prodotti tipici, ma anche l’alta qualità dei vini. Abbiamo il piacere di incontrarlo a Ragusa Ibla, cogliendo l’occasione di una sua visita in Sicilia. Non è solo. Vi sono alcuni turisti insieme a lui nonché anche Marco Scapagnini di NicheItaly, un noto wine expert e tour operator (a tal proposito, Marco organizza dei tour davvero unici e personalizzati per la Sicilia e non solo, forte dell’esperienza maturata con importanti gruppi editoriali, facendo così vivere delle esperienze magnifiche; vi consiglio di visitare il suo sito www.nicheitaly.com ). Ma torniamo al nostro Piero, che ne ha davvero tanto da raccontarci ed è altresì piacevole d’ascoltare. Se è vero che la cucina siciliana incanta gli americani, è anche vero che lui ha contribuito tanto a farla conoscere. E lo ha iniziato a fare tanto tempo fa, quando ancora da queste parti, nella sua Modica in particolare, la parola ristorazione girava poco. “Quando ero già un ristoratore affermato mi capitava di raccontare che venivo da una città, Modica, dove c’erano solo le scacce di Don Santino, non c’era neanche una vera pizzeria ma solo una focacceria. Quella era Modica- ci racconta Selvaggio-. Vidi il primo ristorante quando giovanissimo, a 16 anni, andai a Catania, in una spaghetteria e lì restai sorpreso nel vedere dei cuochi che da grandi calderoni scolavano della pasta, mi sembrò strano perché eravamo tutti seduti e non vi era la mamma che si alzava per servire, ricordo che le nostre mamme sapevano far tutto: quindi lì ebbi la visione di cos’era un ristorante. Poi partii, prima New York, poi Los Angeles e la mia fortuna fu l’aver avuto uno zio che lavorava in un ristorante di lusso. Fu un’ispirazione. Capii che in questo settore avrei potuto divertirmi e guadagnare allo stesso tempo, certamente non facendo il cameriere. Restai così in America. Le cose intanto piano piano cambiarono in Sicilia. Una volta lessi in un giornale di un ristorante fra i quattro scelti da Veronelli: si chiamava Fattoria delle Torri di Modica. E non ci credevo! Non appena tornai a Modica fu la prima cosa che volevo vedere. Andai lì e capii che c’era qualcosa che prima non c’era. Poi visitai la pizzeria di Don Serafino a Marina di Ragusa”. La zona era però agli albori della ristorazione, aveva disperatamente bisogno di essere più sveglia, promossa a qualcosa di ben più importante.  L’ospitalità era un miraggio. Il grande Selvaggio ci racconta che quando i turisti venivano in Sicilia si soffermavano a Palermo, Taormina, Siracusa. Con questo quadro davanti lui capisce che bisognava fare qualcosa. Ed ecco che Piero, con il suo esempio, riesce a trasmettere una cosa fondamentale e cioè che innanzitutto quello che serviva era il patron, la figura del ristoratore, poi lo chef: cercò di far capire che si doveva fare proprio così. “Il primo che lo capì fu Ciccio Sultano – aggiunge- che ha speso un po’ di tempo con me, a Las Vegas. È importante che oggi si comprenda che la Sicilia aveva già tutto e che finalmente si sia svegliata, consacrata con l’ospitalità. Siamo lenti a capire! Ma da siciliano di nascita mi sento orgoglioso della mia terra, perché finalmente si è aggiornata”. E ricorda così chi fra tanta indifferenza è riuscito a farcela da solo, con tanti sforzi, come Enrico Russino dell’azienda Gli Aromi. “Lui è avanti nel tempo. Ed io lo incoraggio nelle sue scelte, anche culinarie- dice Piero”. Ma Piero Selvaggio non è solo un ristoratore, egli ama anche scrivere. “Io amo tantissimo scrivere, faccio delle rubriche per far conoscere la Sicilia, racconto dei pomodori secchi, delle scacce. C’è anche il ricordo della gioventù in tutto questo. E nel mio locale io racconto questo nella mia cucina che è in genere italiana: propongo ad esempio il carpaccio di carne, il risotto al gorgonzola così come la sicilianissima pasta alla norma. Non possiamo essere troppo regionali, ma italiani e contemporanei. E la scelta di ottimi prodotti mi aiutano!”

 

GB

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