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Osteria Acqualavica, il futuro della ristorazione catanese è il gusto della semplicità.

La nonna catanese è una figura quasi leggendaria. Un’anziana signora arzilla e ospitale che usa il mestolo come una bacchetta e riesce a preparare piatti squisiti facendo diventare il recupero alimentare da necessità a magia gastronomica.

Come ogni leggenda però anche quella della nonna catanese sembra che si stia andando smarrendo nella realtà di tutti i giorni. Nella città dove il riso del giorno prima è diventato arancino e il pane vecchio ‘formaggio’, la proposta mangiareccia odierna sembra puntare sulla novità, sulla moda, sulla sofisticheria dimenticandosi quanto è golosa la schiacciata del giorno prima o il pancotto al pomodoro.
L’identità della cucina catanese è decisa quasi quanto i gusti dei suoi piatti tipici e una loro riscoperta diventa un atto d’amore per la città. Questa l’aspirazione di Nunzio Di Bella e Saverio Piazza, rispettivamente patron e chef di Osteria Acqualavica, che hanno come unico obiettivo quello di offrire ai propri ospiti la genuinità e i sapori della cucina della nonna.
Osteria Acqualavica è un pegno d’amore della Catania che fu in ogni singolo dettaglio, dal sito ai componenti architettonici, dal nome del locale alle proposte in menu. Se è sicuramente suggestiva la vista del tavolo in legno incastonato nella grotta che dà le spalle a una splendida cantina, cartolina di quando il mare lambiva porta Uzeda e i marinai acconciavano le reti in quello stabile, ci si tuffa veramente nel passato ascoltando le parole di chef Piazza che ci racconta del suo viaggio alla ricerca dell’essenza dell’identità siciliana, che si eleva dai campanilismi provinciali e guarda agli arabi.


“Ho sposato subito il progetto Acqualavica – ci confida lo chef – perché ho trovato subito sintonia con il patron Di Bella. Tra noi c’è un rapporto di assoluta stima e fiducia. È come se conservassimo gli stessi ricordi della Catania di una volta e avessimo lo stesso obiettivo, ovvero ricercare e riproporre l’identità di questa città, che forse si è persa tra le mode”.
La prima portata provata in questa degustazione amarcord della gastronomia isolana è proprio l’arancino siciliano che è perfetto ambasciatore di quello che dovrebbe essere lo scopo primario del cibo, ovvero unire, legare e non dividere. Per sanare l’annosa faida tra arancina palermitana e arancino catanese, chef Piazza propone una pietanza che conserva le principali caratteristiche di entrambe le versioni: “Arancina o arancino…è una questione che ha stancato. L’importante è che sia buono”.
Uno strato finissimo di riso allo zafferano racchiude un ripieno cremosissimo di burro e formaggio, per un arancino che viene adagiato su una generosa porzione di ragu catanese, con i pezzi di carne ben visibili e aromatizzato all’arancia e alla cannella. Così Catania e Palermo anziché sfidarsi in eterno trovano un equilibrio di gusto perfetto ad ogni morso.

Seconda tappa di questo percorso che vuole riappropriarsi della tradizione sono degli gnocchi di patate con polipo fritto e listarelle di calamaro scottate aromatizzate con il finocchietto selvatico. Questo piatto è un gioco di consistenze dove lo gnocco stupisce con la sua cremosità e ben si sposa con la croccantezza del polipo e quella peculiare del calamaro. Un pizzico di peperoncino per dar brio ma poco sale, perché basta già la sapidità degli ingredienti per rendere appetitoso il piatto.

Il secondo primo è una pasta fresca, in tutte le accezioni del termine, con tonno bottarga e una spolverata di muddica di pane atturrata e limone grattugiato. Saporiti i cubetti di tonno, cremosa la pasta, perfetta la spolverata di croccantezza.

Infine il secondo, un divertentissimo gioco di apparenze: tuorlo d’uovo in una burrata scavata accompagnato da pancotto al pomodoro, vero inno ai piatti della tradizione e alle eccellenze del territorio. La cremosità del tuorlo lambisce la burrata e anche il pancotto, per una portata che si fa mangiare con gusto. A dirlo non solo noi, ma anche Nunzio Di Bella, patron dell’Osteria Acqualavica che ne onora davvero il nome sia per il piacere di condividere il tavolo e il cibo con noi che per il menu proposto al locale e che è teste della comunione di intenti tra patron, chef e brigata.

“La cucina di tendenza oggi è l’arte del togliere e non del mettere. La vera cucina deve ridiventare essere l’arte della semplicità. Questo si propone Acqualavica che non ha caso, perseguendo questa filosofia di cucina, è stata riconosciuta tra tanti e inserita nell’importante guida Michelin”, afferma con convinzione il patron, mentre si gusta il pancotto. “Bisogna fare delle pietanze in cui gli ingredienti siano facilmente riconoscibili e che il commensale si diverte a mangiare – continua – In fondo la cucina deve parlare alla pancia e ci vuole tecnica ma poco teoria, deve essere godimento immediato”.

Gli fa eco chef Saverio Piazza, uno che si può permettere la semplicità, perché è maestro di tecnica e teoria della cucina, come dimostrano i suoi gnocchi dalla fattura magistrale e che, come ci confida “sono uno dei piatti più richiesti. Un ospite della locanda li ha ordinati per tutto il tempo del soggiorno”.
Infatti, sempre riscoprendo l’antico valore del termine osteria, Acqualavica offre ai suoi clienti il soggiorno nelle sue camere, ennesimo affaccio, anche qui il termine è letterale, sulla storia di Catania. Dalla terrazza del palazzo, che per altezza concorre con quella del duomo, infatti si vede tutta la vita della città: piazza Duomo. il suo cuore; le strade della pescheria, le sue arterie; i catanesi, la sua anima.

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