La prima Giornata di formazione e informazione dedicata al ‘Destination Marketing enogastronomico e territoriale’, voluta fortemente dalle Soste d’Ulisse e dal suo presidente in carica, Pino Cuttaia si è appena conclusa.
Sicilia da gustare ha avuto l’occasione di assaggiare un antipasto davvero succulento, grazie all’opportunità di un dialogo proprio con lo Chef del Madia.
È stimolante apprezzare come uno chef siciliano che da quasi quindici anni abita l ’Olimpo della cucina internazionale, leghi inscindibilmente al suo successo quello della sua terra.
I valori della cucina dello chef Cuttaia sono i valori di tutto il suo impegno come presidente dell’associazione: il rispetto per il territorio si declina nella duplice valorizzazione e delle materie prime e degli attori coinvolti nella filiera agroalimentare; la tensione alla sintesi accomuna i piatti del menu e l’azione di networking sul territorio; la memoria che lo chef si pone come ispirazione delle sue portate la assume anche come aspirazione del suo progetto turistico: perché il fulcro di un turismo di successo è lasciare ai turisti dei ricordi da voler rivivere.
Tempo e spazio sono sempre strettamente legati. La Sicilia ha tutto: ha luoghi ameni, ha una memoria storica importante e sta attraversando un presente frizzante di progettualità. Ma allora cosa manca alla Sicilia per proiettarsi al futuro?
Ne abbiamo parlato con lo Chef Pino Cuttaia.
Domanda provocatoria: perché per rilanciare l’esperienza turistica in Sicilia, vi siete affidati a un’agenzia di comunicazione di Milano?
Questa è una domanda non nuova. Diciamo che la nostra non è stata una scelta, ma la conseguenza di un evento circostanziale. Eravamo a Milano, tra amici a un tavolo a parlare di noi, della Sicilia di quello che avremmo potuto fare. E il progetto si è delineato tra le parole piene di ambizione e speranza. Non è la prima volta che mi rivolgo ai professionisti non siciliani per scopi comunicativi e le confiderò un segreto: le foto del mio libro le ha scattate un fotografo piemontese e ho notato come ha evidenziato degli aspetti, dei tratti peculiari che magari un nostro conterraneo avrebbe omesso, nel tentativo di ‘proteggere’ l’immagine ideale della Sicilia.
Nella home page del mio sito web c’è la foto dei panni stesi. Un’immagine forte che al fotografo ha suscitato emozioni importanti perché significa unione, comunità, collaborazione, intimità. Magari un fotografo siciliano avrebbe omesso questo scorcio, perché è una scena per noi ‘quotidiana’, ‘popolare’, poco ‘chic’.
Io penso che abbiamo bisogno di imparare a vederci anche con altri occhi e andare al senso dell’immagine e non solo all’estetica.
All’infuori dei riconoscimenti della critica, quindi la stella Michelin e le forchette del Gambero Rosso, qual è per lei la differenza tra il ristorante La Madia a Licata e Uovodiseppia a Milano?
Certo c’è un’idea di cucina diversa. A Milano propongo una cucina più verace, più diretta…ma a parte questo io intravedo più similitudini che differenze. Vedo entrambi i miei ristoranti come luogo di ritrovo, di genuinità, di intimità. Perché durante la pausa pranzo, quando un siciliano che lavora a Milano ordina la pasta con il macco di fave, sta rivivendo un ricordo, sta richiamando alla memoria i pranzi della mamma, della nonna.
In Sicilia ha creato ricordi, in Piemonte ha imparato il metodo: secondo lei oggi è possibile acquisire il metodo rimanendo in Sicilia? E perché?
Io in Piemonte ho imparato il rigore e il rigore esiste in Sicilia.
È una cona naturale, perché dipende dalla natura. Credo che si possa imparare il metodo dai contadini. Forse non è un caso che si dice che bisogna ‘cogliere l’attimo’, perché in fondo i contadini per necessità obbediscono ai ritmi naturali, rispettando i tempi della semina, della raccolta e quindi anche di chi acquista la merce buona.
Io penso che osservando loro si capisca, anche in ambito della ristorazione, quanto sia importante rispettare il tempo naturale e valorizzare quello del turista e del cliente del locale. La bontà si nasconde nell’attimo.
Cosa l’ha richiamata in Sicilia?
Le radici. Quando togli un albero che aveva già messo radici profonde, l’albero soffre. E io sono Siciliano e in Sicilia voglio creare.
Il turismo 3.0 è, paradossalmente considerando la frenesia e l’iperstimolazione che internet significa, un turismo di qualità e di tranquillità.
Oggi abbiamo un sacco di possibilità. Tutti si possono praticamente permettere un volo low cost e visitare una capitale europea diversa ogni weekend, anzi sei quasi pigro se non lo fai.
Il punto però non è il passaggio, ma la permanenza. I clienti che vengono a La Madia si fermano, perché vogliono fermarsi non perché capita.
Ecco il turismo del futuro non deve attirare solo curiosi, deve accogliere e riaccogliere.
Quale sono le rotte da seguire, allora?
Quelle che portano fuori dai siti prettamente turistici e che portano alla Sicilia, quella dei miei e dei suoi ricordi.
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