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Le Casematte, DOC Faro di successo racconta angoli di Sicilia al 54° Vinitaly

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“Io non produrrò mai le bollicine, perché non le berrei neanche io. Non voglio snaturare un territorio solo per una logica e un obiettivo commerciale, non ha senso. Ma nel 2023 uscirà un nostro nuovo bianco, un Grillo in purezza, è questa la novità. Nel tempo, si guadagna solo se fai milioni di bottiglie. E lo dice una persona come me che ha studiato sempre i numeri. Non si potrebbero fare mai milioni di bollicine in Sicilia. Poi non andrei mai a mangiare il pescespada a Trento ma solo in Sicilia. Lo stesso vale per vini e bollicine. La strategia di bere bene in funzione dell’identità della regione, senza essere superbo”.

Alla nostra domanda se farà mai le bollicine e se si può innestare un progetto nuovo in vigna, risponde così l’imprenditore Gianfranco Sabbatino, titolare messinese dell’azienda vitivinicola “Le Casematte“, sulla collina di Faro Superiore (Contrada Corso), villaggio a nord della Città dello Stretto e soffiato dai venti dei Mari Jonio e Tirreno. Sabbatino, commercialista per professione, pragmatico e realista, è uno dei produttori più curiosi dell’inimitabile “Faro Doc” nella provincia di Messina e al momento si trova al “Vinitaly“. Il suo vino ha conquistato per più anni i “Tre Bicchieri” di Gambero Rosso e altri riconoscimenti. La superficie, coltivata con criteri bio, è calcareo-sabbiosa con terrazzamenti da 280 a 500 metri di altitudine e uve di Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Nocera e Nero d’Avola. Il nome “Le Casematte” è rimasto dalla proprietà esistente e rilevata da Sabbatino, in quanto tra i vigneti c’erano tre piccoli fortini – le “Casematte” per nascondersi dalle sentinelle a difesa dello Stretto di Messina, durante la Seconda Guerra Mondiale. Il messinese condivide, dal 2008, questo progetto di vita agricola con l’ex calciatore della Juventus Andrea Barzagli, 41enne d’origine toscana, nonché Campione del Mondo, con la Nazionale italiana nel 2006 in Germania. Appese le scarpette al chiodo, si è reso conto che l’azienda realizza prodotti che camminano da soli perché qualitativamente alti e anch’egli ha deciso di essere molto più presente, viene a Faro Superiore una volta al mese e gira con Sabbatino in varie zone. Al Vinitaly entrambi stanno portando l’intera produzione: 5 referenze (Peloro Bianco e Rosso, Nanuci, Rosematte e Faro Doc) con tutte le nuove annate, 2021 per il bianco ed il rosato, 2020 per i rossi. 

“La mia massima aspettativa va sulla Doc Faro, che identifica di più il territorio – dice Sabbatino – ma tengo parecchio anche al Nocera, uva indigena di questa zona e della parte tirrenica, inserita nella Doc Mamertino”. Della sua famiglia, Gianfranco è il primo viticoltore da autodidatta. “Sono arrivato nel mondo del vino 25 anni fa, perché gestivo un’azienda alle Isole Eolie, – rispolvera – prima come amministratore giudiziario assegnato dal Tribunale in un ruolo scomodo e dopo anche in produzione”. Sabbatino all’epoca era giovanissimo e prendeva al volo le occasioni, così si è fatto sempre più coinvolgere dall’universo vino, curando vendemmie e cantina. “Poi 13 anni fa, c’è stata questa opportunità – continua – e mi sono lanciato a casa mia a Messina, dove sono nato, dove vivo, risiedo e dove sicuramente morirò”. Tramite il suo mestiere originario, gli capita di conoscere dei calciatori che giocavano a Palermo e, tra questi, c’era Andrea Barzagli, con cui ha legato amicizia e rapporti di lavoro. “Adesso si apre un’altra èra – rimarca Sabbatino -. Nell’immagine dell’azienda, Barzagli manifesta uno sprint in più.

Ogni qual volta c’è l’enologo, Andrea partecipa sugli assaggi, le potenzialità e i progressi”. Ad aiutare i fondatori è l’enologo Carlo Ferrini. La produzione annua si attesta sulle 60mila bottiglie, che mantengono il circuito Horeca e scaturiscono dai 13 ettari a coltivazione biologica, a basso impatto ambientale, che rientra nella certificazione “SOStain” (Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile in Viticoltura). Dei loro 13 ettari, ben 11 sono identificati con Doc Faro, una parte viene declassata per fare una sezione Igt. La produzione risulta suddivisa in 35mila bottiglie tra Peloro Rosso e Bianco, una piccola produzione di rosato di 6mila bottiglia da Nerello Mascalese in purezza, 10mila bottiglie di Faro Doc e 2000-2500 di Nocera in purezza quando vengono fuori.

L’esportazione all’estero è fondamentale e va a coprire circa 12 Paesi tra l’Europa, Asia e Stati Uniti. Sicuramente la clientela arriva da tutta Italia, dall’Inghilterra, Svizzera, Austria, Olanda, Lussemburgo, Giappone, Thailandia, Australia e diversi territori dell’America. Sul podio gli States, Giappone e Olanda.

La crescita dell’azienda è stata graduale, senza contare gli anni di blocco dovuti alla pandemia. Sabbatino è più affezionato al Rosematte. I primi vini prodotti sono stati i rossi. Il Faro Doc si chiamava “4 N”, dal nome dei 4 vitigni che lo compongono mentre il Peloro Rosso si chiamava “Figlio di NN” sempre dai vitigni di nascita (Nerello Mascalese e Nocera) e poi perché chiosa Gianfranco: “Nel mondo del vino, tutti sono figli di marchesi e di baroni ed io non ero nessuno. Questo era il gioco dell’etichetta ma poi all’estero significava osare troppo. Ad un certo punto, abbiamo operato un restyling delle etichette e in quell’occasione abbiamo creato il rosato”. Nel campo dei rosati c’è stata sempre molta confusione e sin dall’inizio Gianfranco si è messo di traverso perché si utilizzasse uva rossa. “I rosati che circolavano potevano essere ricavati da bucce di rosso – azzarda Sabbatino – mischiando bianco e rosso con colori strani”. Invece, l’imprenditore peloritano si è imposto per scegliere il Nerello Mascalese vinificato in bianco, che determinò valori molto eccentrici e fu apprezzato tantissimo dai tecnici estimatori. A saltare fuori subito è stato quel particolare colore a buccia di cipolla che si colloca sul mercato insieme ai profumi e sentori fruttati con doti ben individuabili.

Tornando agli spumanti, Sabbatino vede una difficoltà oggettiva per le attitudini climatiche e per un procedimento che non è una passeggiata. Ma l’azienda si appresta alla nuova uscita anticipata a noi: una piccola produzione di Grillo in purezza, con un po’ di affinamento (sei mesi) in legno – (tonneaux e barrique), tre mesi in cemento e un anno in bottiglia. La quantità ammonta a 1800 bottiglie e sarà pronta entro l’estate 2023.

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