Lampedusa porta d’Europa aperta ai popoli anche in cucina, la piccola isola più a sud d’Italia detiene il record di terra di mescolanza di cultura gastronomica e di sapori.
A farla da padrone il dentice, pregiato pesce mediterraneo che è il re della tavola lampedusana ma appaiono nel piatto anche ingredienti internazionali arrivati nel tempo via mare: foie gras, formaggi francesi, sale hawaiano, sono elementi che contaminano oggi le ricette dei pescatori locali.
Il risultato è una cucina siciliana sofisticata ma non snaturata, come quella di Giovanna Billeci chef patron del Cavalluccio Marino, Hotel-Ristorante davanti a uno dei tramonti più belli dell’isola (e di Sicilia?) sull’affaccio di Baia Cala Croce, condotto insieme al marito Giuseppe Costa.
Il menù del Cavalluccio Marino ha l’aspetto di una scatola cinese: è un viaggio nel viaggio, accostarsi ai tavoli è un’esperienza sorprendente che può far girare per il mondo senza mai lasciare la sedia.
L’inaspettato arriva con la carta dei vini che si compone di ben 700 etichette provenienti da ogni angolo della Sicilia, dai territori italiani più vocati al vino e dalle aree enologiche più interessanti del mondo.
Un prezioso vademecum che racchiude i nomi storici del vino partendo dalle più celebri e importanti maisons francesi fino alle remote produzioni di chicche e introvabili da Nuova Zelanda, Cile, Israele, Ungheria, Sud Africa.
Lampedusa e i suoi 20 km quadrati posizionati sul 35° parallelo non sembrano più così minuscoli: si respira una libertà e un senso di scoperta che talvolta è difficile ritrovare nelle più fornite attività della “terraferma”.
Il merito di tanto potenziale e accurata selezione è di Giuseppe Costa, che scrive personalmente la carta dei vini e studia gli abbinamenti con i piatti del menù.
“Durante tutti i viaggi invernali che faccio inserisco spesso visite in vigne e in cantine: i vini che ho scelto per la carta del Cavalluccio Marino sono stati degustati da me personalmente uno per uno – spiega Giuseppe Costa – ho visitato quasi tutti i produttori siciliani e con alcuni di essi intrattengo dei rapporti di amicizia. Io non sono un sommelier, non ho ancora avuto modo di realizzare questo desiderio, ma mi definisco un appassionato del vino e un ricercatore. La mia priorità è dare voce ai micro-artigiani del vino, a quei produttori che puntano tutto sull’alta qualità”.
Alla prima lettura della carta emerge un certo gusto per le sfide: complessi, macerati e vini naturali ricorrono spesso.
“Cosa penso dei naturali? – spiega Giuseppe con la schiettezza che lo contraddistingue – in Sicilia molte piccole cantine fanno eccellenza, lavorano in modo sostenibile e pulito e nei loro vini c’è tanta passione ed amore per la propria terra, caratteristica che non riscontro quasi più nelle grandi cantine, ma logicamente esistono le eccezioni. Fra i vini siciliani che amo di più ci sono diverse espressioni dei vitigni autoctoni dell’isola provenienti da terroir differenti: Nonna Aurelia il Carricante di Siciliano, Cinque Inverni di Possente, il macerato di Modus Bibendi, il Vignammare di Barraco, il Pas Dose’ blanc de blancs di Alessandro Viola e poi, tra tutti i miei preferiti, Filippo Rizzo azienda Lamoresca ed Aldo Viola”.
C’è poi la complessa arte dell’abbinamento che per Giovanna e Giuseppe è qualcosa a metà tra l’istinto e il piacere: “Gli abbinamenti che faccio sono pratici – racconta con semplicità Giuseppe, per lui è naturale riuscire a trovare la quadra tra cibo e vino – degusto tutto con i nostri piatti: studiare l’equilibrio e l’armonia dell’insieme dei sapori, provare la persistenza di un vino su una preparazione, sono esercizi di precisione che mi divertono e i risultati non sono mai scontati”.
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