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Intervista al Maestro Roberto Cascino

Intervista al Maestro Roberto Cascino. Chef per innata passione o per scelta obbligata?
Intervista al Maestro Roberto Cascino | Sicilia da Gustare

Chef per innata passione o per scelta obbligata?

Incontro lo Chef Roberto Cascino per la prima volta ad Expo Cook 2019, al termine del suo cooking show. A presentarmelo è la nostra comune amica Stefania Cannella, direttrice della scuola di cucina Bechef. Parte già lì una breve intervista a caldo, ma capisco subito che Roberto ha ancora tanto da raccontare e ci riproponiamo d’incontrarci. Finalmente, dopo parecchi mesi le nostre strade s’incrociano di nuovo e quella che segue è lo stralcio di una bella chiacchierata con un Roberto Cascino non solo professionista ma soprattutto uomo che di sé ha tanto da raccontare. 

Nonostante il suo tradizionale background di cucina vecchia scuola, quale delfino della rinomata famiglia dei Maestri Cascino, Roberto è uno chef aperto e moderno. Questo approccio in cucina è visibile anche nel suo stile, ognuno dei suoi piatti parte sempre da un abbinamento di sapori fondamentalmente tradizionali che sposano tecnica, sperimentazione, curiosità e studio, per la creazione di piatti assolutamente contemporanei. 

Ci diamo appuntamento nella sede della scuola di cucina Bechef. Raggiunti i locali della nuova cucina al piano terra, oltrepasso appena la soglia silenziosamente, e trovo il maestro letteralmente immerso nel suo regno. Banconi da lavoro tirati a lucido già allestiti con prodotti freschi e attrezzature, forno acceso e poi lui, seduto a una piccola scrivania, intento a digitare sulla tastiera del notebook, con l’aria più da prof che da chef; alle sue spalle, la lavagna con la lezione del giorno sui primi piatti (io ho già l’acquolina!). Solleva lo sguardo, sorride dietro il suo occhialetto squadrato e m’invita ad entrare. Dopo i piacevoli convenevoli, mi siedo proprio di fianco a lui, accendo il registratore e iniziamo la nostra intervista.

Chi è Roberto Cascino? Dove è nato, dove ha vissuto, quanto ha viaggiato…?

Sono nato a Palermo il 30 giugno 1971, dove tutt’ora vivo. Ma ho vissuto anche a Bologna, dove ho vinto il concorso per diventare insegnate e all’età di ventidue anni passavo dai banchi alla cattedra. E poi ho viaggiato, soprattutto per le specializzazioni. Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia di grandi chef, quindi venivo mandato da mio nonno e da mio padre a fare queste esperienze di formazione che mi hanno portato a Parigi, a Londra, in Svizzera, nei Paesi dell’Est, in Austria, in Libia. Sono stato anche in Brasile per promuovere la cucina siciliana e tenere dei corsi.

L’INCONTRO CON LA CUCINA

Roberto, quando e come capisci che vuoi diventare chef?

Ripeto, ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia di grandi chef, che è stato sicuramente un vantaggio, ma ci tengo a precisare che nessuno mi ha imposto nulla. Il mio gioco preferito da bambino era quello di vestire i panni del cuoco. Ovviamente per certi versi ero attratto da quello che faceva mio padre, ma riesco a dire con esattezza il momento in cui ho capito che questa sarebbe stata la mia strada. 

All’età di circa nove o dieci anni ho vissuto e partecipato ad uno degli eventi più importanti per cui la mia famiglia abbia mai cucinato anzi, posso senza dubbio definirlo l’evento più importante per la storia della mia famiglia: il soggiorno di Papa Wojtyla a Palermo, era il 1982. Con i miei occhi da bambino sono rimasto affascinato da tutto quello che succedeva intorno a me, l’impegno, la responsabilità, a prescindere dall’importanza del personaggio, in quei tre giorni ho visto preparare delle cose talmente belle e particolari che mi sono detto “io voglio fare questo”.

Nel luccichio dei suoi occhi, vedo scorrere il film di quei giorni concitati, frenetici, carichi di emozioni, riesco a vedere i Maestri e i loro collaboratori darsi da fare per tirare fuori il meglio e dimostrare di essere all’altezza del compito prestigioso di cui erano stati investiti. Decido di cavalcare l’onda dei ricordi di famiglia con la domanda successiva.

Nel tuo cognome c’è un segno distintivo di appartenenza. I “Maestri Cascino” hanno fatto la storia della cucina siciliana a partire dal 1935 con tuo nonno Francesco Paolo e poi Mimmo, tuo padre. Ritieni che dedicare la tua vita alla cucina sia stata più una logica conseguenza o il frutto di una tua scelta? 

Mio nonno ha fatto partire questa storia di famiglia, lui è stato l’ultimo dei Monsù, tra gli altri ha lavorato anche presso i Florio, poi papà invece ha dato l’impronta imprenditoriale. Posso dire però che dedicare la mia vita a questa professione è stata assolutamente frutto di una mia scelta – dichiara con orgoglio e fermezza – mio padre non mi ha mai imposto nulla, tant’è che mio fratello è medico. Io invece ero proprio attratto da questo mondo, da piccolo giocavo con la plastilina e immaginavo d’impastare torte, d’impiattare o facevo finta di avere un ristorante. Insomma, era il mio gioco preferito.

Se dovessi indicare chi o cosa ha influenzato maggiormente la tua scelta?

Come modello avevo certamente mio nonno, un grandissimo chef, ero proprio affascinato da questa figura.

Che rapporto avevi con lui?

Lo vedevo poco, perché lui viaggiava spesso quando io ero piccolo. Mi sono legato molto a lui negli ultimi anni, abbiamo lavorato tanto insieme, mi dava delle dritte, m’insegnava i suoi segreti, mi è successo di condividere e affrontare molte situazioni accanto a lui. A volte lo vedevo intento a leggere riviste o libri di cucina e gli dicevo “nonno ma perché ancora leggi a questa età?” e lui mi rispondeva “il giorno in cui non leggo più vuol dire che lavorativamente sono finito”. Poi purtroppo si è ammalato. 

Poi devo dire grazie anche alla mia nonna materna, Graziella, che col mondo della ristorazione non c’entra proprio nulla.  Ho sempre un ricordo di me piccolissimo e lei che mi chiedeva di aiutarla in cucina. Mi sembra ancora di sentire l’odore del capretto che veniva soffritto per poi essere infornato. Sentivo la carne scoppiettare in padella… – si sofferma alcuni istanti assaporando, visibilmente, il gusto di quel ricordo – poi facevo con lei gli involtini alla siciliana, per prepararli mi faceva battere la carne, oppure mi faceva fare le formine con la pasta reale… – altra pausa – sì, devo dire che mia nonna ha giocato un ruolo importante, ho conosciuto la cucina anche attraverso lei e la sua cucina casalinga e tradizionale. Una cucina semplice, ma fatta bene.

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IL PRESTIGIO DI UN NOME 

Hai mai sentito il peso del nome che porti? Se sì, quando?

Devo dire di sì, ho sentito questo peso. Soprattutto nella prima fase della mia vita professionale, quando cominciavo a muovere i primi passi. Non nascondo che a tratti questa cosa ha rischiato di schiacciarmi. Volente o nolente il paragone fatto dagli altri lo avverti. Poi col tempo, la riflessione, la maturità, mi sono reso conto che in ogni caso, io, mio nonno, mio padre, siamo tre professionisti completamente diversi, ognuno col suo stile, ciascuno con la sua impronta. Ovviamente mio nonno resterà un grande agli occhi del mondo, ma questo per me non è un problema, oltre ad essere motivo di orgoglio, oggi è proprio quello che mi dà la spinta in più per fare sempre meglio.

Quindi hai sentito il peso delle aspettative?

Sì, ma non solo quello. Pensavo che gli altri potessero avere un occhio di riguardo per la mia provenienza non guardando a me, al mio reale valore professionale. Io volevo essere me stesso. Anche a scuola, pur avendo mio padre tra gli insegnanti, ho sempre voluto studiare di più, approfondire di più. Non volevo essere “il figlio di…”, volevo essere Roberto Cascino! Penso comunque che in qualche modo questa sia la sorte di tutti i figli d’arte, il paragone comunque scatta. Poi però di questo ho voluto cogliere e sfruttare l’aspetto positivo. Ho avuto accanto un professionista come mio nonno e poi mio padre, loro mi hanno dato le basi ed a me oggi non resta che mettere a frutto l’opportunità che mi hanno dato.

Davanti a me ho un professionista che ha scelto non di subire ma, piuttosto, di affrontare il senso di pressione dettato dalla “discendenza”, lottando contro gli alti e bassi che ne sono derivati e lavorando più duramente di tanti altri. Un’esperienza di vita che lo ha portato a crescere in fretta, regalandogli però, altrettanto in fretta, piena consapevolezza del destino che avrebbe dovuto seguire. 

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L’ISPIRAZIONE

Dove nascono i tuoi piatti?

Diciamo che in genere, quando faccio un piatto, già so se avrà successo oppure no. Se però mi chiedi dove e come nascono i miei piatti, io non te lo so dire. A volte nascono da un sogno, per esempio, poi mi sveglio, magari vedo un ingrediente, riconduco quell’ingrediente al sogno e poi ci costruisco su un piatto. Direi che i miei piatti nascono dal nulla. Una cosa però è certa: devo essere ispirato! Poi partire, viaggiare, vedere nuovi paesaggi, ascoltare musica, queste cose solleticano molto la mia creatività. Mi piace molto ascoltare la musica, tutti i generi di musica, e poi anche l’arte o guardare un film, sono tutte cose che mi dànno emozioni e che mi stimolano nella produzione di un piatto. Se poi mi viene un’idea, mi estraneo totalmente dal mondo e comincio a scriverla subito per paura di dimenticarla e per quei cinque o dieci minuti mi assento da tutto e tutti. A proposito di assentarsi, scusami un attimo – si alza e si dirige verso il forno acceso per controllarne la temperatura e sbirciare al suo interno, per poi tornare a passo veloce – ho il corallo in cottura che si sta asciugando, mi serve per la lezione. Qual’è la prossima domanda?

Gli sorrido compiaciuta, lo chef è proprio entrato nel mood intervista, concentrato, reattivo, carico. Non mi resta che continuare spedita con le altre domande.

Il primo piatto perfetto, quello che ricordi con grande soddisfazione?

Il primo dici… – aggrotta lievemente la fronte nello sforzo di memoria e poi s’illumina – sì, ci sono! Mi viene in mente un esame di qualifica alla scuola alberghiera, tra l’altro c’era mio nonno in commissione, lui era molto severo, pensa che quando mio padre fece gli esami sempre con lui gli diede un sei, mentre tutti gli altri professori gli diedero 10. Tornando a me, io ho preparato il filetto alla Wellington, una delle cose più difficili secondo me per un cuoco e ti devo dire che mi venne veramente bene. Questo è il primo piatto di cui ho memoria a livello professionale.

Hai un tallone d’Achille in cucina, qualcosa da migliorare?

Fammi pensare… in realtà mi piace cucinare tutto, ogni materia prima per me è una sfida, un vero tallone d’Achille non direi. Qualcosa da migliorare invece sempre, nelle tecniche, nell’impiattamento, credo che un limite al miglioramento non esista.

PRESENTE E FUTURO PROFESSIONALE

Cosa c’è nel tuo presente professionale, ce lo racconti?

In questo momento mi sono pienamente dato alla formazione a svariati livelli. Trasmettere quello che so significa donare sapere, fare cultura, vedere gli altri crescere e acquisire nuove conoscenze. Al momento mi divido tra l’IPSSAR “F.P. Cascino”, la scuola di cucina Bechef e i corsi di formazione tematici. Insegno da 27 anni e scegliere di farlo nella scuola che porta il nome di mio nonno è stata una logica conseguenza. In una scuola come questa, diamo l’opportunità, ai ragazzi, d’impiegare il loro tempo in una scuola viva, attiva e socialmente impegnata. Seguirne i progetti, partecipare agli eventi o alle gare con i ragazzi, mi da molta soddisfazione. Poi non ti nascondo che mi piacerebbe vedere evolvere questo mio ruolo nella formazione, il mio sogno sarebbe quello d’insegnare in un’accademia o addirittura riuscire a fondarne una tutta mia, col nome di mio nonno. Un’accademia non necessariamente col mio stile di cucina, la immagino fatta di tanti stili, tante figure, tante professionalità, un polo d’interscambio e crescita, non solo per gli allievi ma anche per i maestri. Io imparo tantissimo dagli altri, sono una spugna da questo punto di vista, posso imparare tanto anche dal più piccolo dei miei commis, se da lui nasce un’idea geniale è da lui che in quel momento posso imparare qualcosa. 

A proposito del tuo ruolo d’insegnante, hai a che fare con giovani desiderosi d’imparare tutti i giorni. Quali sono le caratteristiche che un allievo deve avere per ambire a divenire un cuoco professionista in gamba?

Se non hai buona educazione e rispetto, non vai da nessuna parte. Questo è fondamentale. Poi va da sé che se c’è creatività questa va canalizzata, poi ci vuole anche equilibrio, per apprendere bene la tecnica e poi sacrificio, tanto sacrificio. Lo so, sembrano frasi fatte, ma chi vuole intraprendere questa strada deve saperlo, è una strada fatta di sacrifici e rinunce. Io per esempio, già ai tempi della scuola il sabato e la domenica andavo al ristorante di papà e non uscivo con gli amici o magari li raggiungevo molto più tardi, diciamo che in quel caso preferivo andare a lavorare, però nel frattempo crescevo professionalmente. Sono a contatto con i giovani tutti i giorni e a scanso di ciò che si dice di queste nuove generazioni, tanti di loro hanno dei sani principi, e noi dobbiamo incoraggiare questi giovani – il tono con cui parla adesso è accorato, come se stesse parlando davvero con uno dei suoi ragazzi – con i ragazzi oggi devi fare lo psicologo, li devi incoraggiare, sono fragili, sono alla ricerca di certezze e sicurezze, insomma li devi aiutare. Ti vedono come un modello e questo modello deve essere positivo per loro. 

Oltre l’insegnamento c’è anche tanto altro, giusto?

Sì, giusto. Sto scrivendo un libro di ricette a cui sto dando un’impronta diversa, ogni ricetta sarà il frutto di un percorso, si parte dal territorio fino alla materia prima, per poi approdare alla ricetta. Mi spiego meglio: tu pensa a una patata per esempio, c’è tutto un lavoro, fatto di mani, di terra, di storia di uomini e del territorio, tutta un’energia e poi la trasformazione, la tecnica, l’interpretazione e la valorizzazione; io poi alla fine aggiungo un mio contributo a tutto questo. C’è anche dell’altro, ma non voglio svelare tutto adesso.

Poi c’è la recente esperienza televisiva, che mi ha visto tutor e giudice all’interno del format Cook-King, in onda su Tele One, nato da un’idea di Roberto Oddo. Il format è stato realizzato in collaborazione con la scuola Bechef e il coordinamento di Stefania Cannella. Il set è stato realizzato proprio qui dove ci troviamo adesso. Devo dire che mi sono molto divertito, sono stati 30 giorni intensi di registrazioni, tutti i giorni. Oggi le puntate stanno ancora andando in onda. Il ruolo di giudice mi è piaciuto molto e, ripeto, mi sono divertito a stare davanti alle telecamere. Esperienza televisiva da ripetere, anche se non potrei pensare di fare solo quello. Quando mi trovo in cucina, io per primo sento il bisogno di sporcarmi le mani, sono nato per questo. Io fondamentalmente voglio cucinare! 

Come ti vedi tra 3, 5, 7 anni?

Che domandona mi hai fatto, quanto tempo ho per rispondere? –  sembra inizialmente spiazzato, in realtà ha soltanto avuto bisogno di qualche secondo per riordinare le idee che, mi sono resa conto, essere piuttosto chiare. – Ti rispondo allora che fra tre anni vorrei trovarmi immerso appieno nel ruolo di chef tecnico-dimostratore per le aziende. Testare, sperimentare, trovarmi ogni giorno davanti a una sfida diversa, mettere a frutto conoscenze e creatività per dare il mio contributo nello sviluppo di un prodotto, che sia una materia prima o un semilavorato. È così che mi vedo, è una strada che ho appena intrapreso quasi per caso, ma che mi offre degli stimoli straordinari. E poi naturalmente i cooking show, l’organizzazione degli eventi e l’insegnamento continuerebbero ad accompagnarmi sempre. Vorrei segnare la nuova èra dei Maestri Cascino.

Tra cinque anni invece, mi vedrei a dirigere la mia accademia, è un mio grande desiderio ma ancora di più un obiettivo. Tra 7 anni credo che i tempi sarebbero maturi per aprire un locale, il mio sogno. Un locale culturale, vorrei cioè riuscire ad offrire dei piatti con i quali somministrare cultura attraverso un percorso di gusto. Un ristorante è un piccolo spaccato di vita, come in una rappresentazione teatrale, in un ristorante si muove una piccola società. Mi piacerebbe quindi dare vita a un luogo in cui musica, arte, cultura e cucina si fondono. Un luogo di convergenza dove poter mettere dentro tutto quello che mi piace.

Mi stupiscono chiarezza e lungimiranza con cui lo Chef Roberto Cascino mi descrive le tappe del suo prossimo futuro. Più di tutto, mi sorprende scoprire che il desiderio di mettere in piedi un’attività arriva soltanto alla fine di un cammino niente affatto casuale. Un cammino di esperienze che ha la necessità di fare, valore che vuole acquisire, conoscenze da approfondire prima di realizzare il sogno. Un atto dovuto anzi, più che altro l’impressione, parlando con lui, che si tratti di un premio meritato, una gratificazione per se stesso.

Intervista al Maestro Roberto Cascino | Sicilia da Gustare

LE PASSIONI

Una passione al di fuori del lavoro?

Amo molto i cani, li ho sempre avuti e dedicare loro del tempo mi dà un senso di equilibrio. Ho un bellissimo labrador, con lei faccio lunghe passeggiate, gioco, ci parlo e questo mi rilassa davvero. Ma in genere amo tutti i cani. E poi anche il cinema e il teatro, la prosa in particolare, è stata sempre una cosa che mi ha appassionato.

Se potessi fare una scelta di vita differente, a cosa ti dedicheresti? 

Non ho dubbi, il teatro sicuramente! Ha fatto parte della mia vita, da qui la mia passione per la prosa, come ti dicevo prima. Recitare mi diverte da paura, l’ho fatto per un po’ di tempo, mi piace tutto ciò che ruota attorno alla messa in atto di uno spettacolo, da quello che succede dietro le quinte e poi sul palco, le prove, la bellezza dell’improvvisazione, insomma tutto. Un’altra scelta di vita che forse avrei potuto fare riguarda la medicina. Mio fratello è medico e forse chissà, lo sarei stato anch’io, quando parliamo del suo lavoro di come aiuta gli altri… mi sarei visto anch’io in questa veste.

Il tempo dell’intervista volge al termine, i ragazzi del corso pomeridiano cominciano ad entrare alla spicciolata. Ho giusto il tempo per le ultime due domande.

IL VALORE AGGIUNTO

Tre aggettivi per descrivere la tua cucina…

Tradizionale, emozionale e passionale.

Qualcosa che ti ha dato il tuo mestiere?

Mi ha dato veramente, veramente tanto. Mi ha fatto viaggiare, mi ha fatto conoscere persone importanti ma, soprattutto, mi ha fatto conoscere persone di valore – dice con enfasi – come Biagio Conte, il Papa, il Presidente della Repubblica… e poi mi ha fatto crescere tantissimo. Al mio mestiere devo tutto ciò che sono oggi.

Su quest’ultima frase spengo il registratore, ma avverto che il meglio deve ancora venire fuori. Lo Chef Roberto Cascino è custode di un patrimonio di sapere importante della cucina siciliana, un bene che lui stesso ha voglia di condividere e far conoscere. 

La nostra intervista, dunque, non si conclude qui e ci diamo appuntamento per la storica ricetta del parfait di mandorle direttamente tratta dagli storici ricettari di famiglia e di cui i Maestri Cascino sono stati i celebri creatori.

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  • Augusto Pitarresi
    13/12/2019 alle 18:57

    Bell’articolo molto avvincente.

  • Caterina
    13/12/2019 alle 19:16

    Complimenti vivissimi. In questa intervista, ho visto “letteralmente ” parlare il Maestro Cascino, a cui auguro la realizzazione dei suoi sogni, a breve e lungo termine.
    A Viviana Prester, invece mi auguro, di ritrovarla in altrettanti interviste, così bene articolate, quale brava professionista Ella è.

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