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In Via Vela 10, perché le grandi conquiste avvengono per mare. Catania naviga a vele spiegate verso un nuovo continente gastronomico, la Mediterrasia.

Cristoforo Colombo per mare scoprì l’America. Chef Enrique Parra sta facendo il viaggio INverso. Con le vele spiegate, lo chef, navigando tra ingredienti e incontri, ha scoperto, perché ha creato, un nuovo continente gastronomico, la Mediterrasia che, in solo 18 mesi, ha già conquistato il cuore e lo stomaco dei catanesi, che di gusto se ne intendono. In Via Vela 10 è in atto una rivoluzione gastronomica, il nuovo mondo della cucina siciliana che apre a prospettive internazionali.

Nonostante le conquiste della tecnica e lo studio della scienza, la macchina del tempo e la macchina del teletrasporto non solo non sono stati ancora inventati, ma sembrano anche progetti tanto più utopici quanto più ambiziosi. Gli amanti del buon cibo sanno però come in un piatto ben riuscito gli ingredienti fondamentali siano proprio il tempo e lo spazio e ci sono esperienze gastronomiche che, più di altre, lo rendono lampante.

In Via Vela 10, in un locale che gioca con le altezze, i piani, le prospettive e le scelte, la realtà è sospesa. Seduti a un tavolo di ferro che abbraccia un albero, perfetta metafora dell’uomo pacificato con la natura, il commensale è condotto attraverso multidimensionali itinerari di viaggio. La guida? Il gusto che si incarna ora in Enrique Parra, maestro delle contaminazioni che avvicinano mediterraneo e Asia, il termine Mediterrasia è giù uno squisito lemma che anticipa quanto verrò, ora in Davide Giuffrida e Gabriele Ursino, padroni della tradizione nostrana.

Quello nascosto tra alberi e bambù, alle spalle del castello federiciano di Catania, è un microcosmo di storie, di idee e di pragmatica, tutte egualmente interessanti. Vorremo però iniziare da quella più gustosa, più sfiziosa e che è nel nostro caso la trama principale su cui poi si avvitano le altre, ovvero il cibo.

Chef Enrique Parra è un artista della cucina e, stavolta, la parola non è detta a sproposito, ma assume tanti significati quante sono le arti padroneggiate dallo chef. Tutto inizia da un quaderno A4, copertina nera pece, fatto di pagine di carta riciclata riempite di disegni in bianco e nero che trovano colore nel piatto. E noi questi sapori, vorremmo riuscire a raccontarli con parole vivide come i sapori che abbiamo mangiato.

La prima tappa del percorso enogastronomico del continente immaginario e immaginifico Mediterrasia ha dato il ritmo alle successive.

I Pop corn di gamberi in tempura di panko aromatizzati allo yuzu, e Shichimi tōgarashi e spicy maio sono croccanti, sfiziosi, freschi e avvolgenti al tempo stesso. Irresistibili come le ciliegie, le nostre bacchette hanno pescato più di una volta dalla ciotolina nera, fermandosi solo quando gli occhi sono stati distratti dalla seconda portata.

I Cowboy tacos ci hanno catapultato dall’altra parte dell’oceano Pacifico in una frazione di secondo. Le tortillas, non di mais ma di farina di grano tenero 00, abbracciavano un equilibrato ripieno di carne brasata, misticanza fresca e mais.

Così la cena è andata avanti con una visita in Medioriente, oseremmo dire ‘mordi e funghi’, grazie con l’involtino di insalata verde farcito di enoki, verdure saltate, arachidi e salsa di yogurt geco, poi ancora il carpaccio di carne Wagyu A5, salsa orientale e yuzu e poi il carpaccio di salmone, tonno, spigola, ricciola, orata, capesante, polipo e uova di salmone.

Le sfere di grano saraceno con caviale, e i bon bon di grano 00 farciti di polpa di granchio e mascarpone, coronati da caviale e foglie d’oro, hanno spostato il baricentro del viaggio di nuovo in occidente, dove il viaggio è continuato in verticale: la ricciola in latte di tigre, jalapeño, mais cipolla rossa, platano fritto, fiori eduli e granita di frutto della passione era un crocevia di culture a ridosso dell’equatore ed è per questo che in ogni boccone i sentori erano vari e complementari.  

Gli Uramaki sono stati invece una certezza, ma non per questo mai banali: il crunch roll è un futomaki che strizza l’occhio al mediterraneo, omaggiandolo con pomodoro e basilico; poi il butter black lobster, tempura di calamaro, avocado, erba cipollina, cover di aragosta* gratinata, burro nero affumicato di jalapeños, shiso e prezzemolo, promette di viziare pure il più edonista dei commensali.

Sazi e soddisfatti, il dolcissimo epilogo della cena conferma davvero che più che una degustazione è stata una favola gastronomica. I dolci di chef Enrique Parra sono la summa della sua fantasia e del suo estro e raccontano di un’anima curiosa e innamorata della natura.

Il tempo delle mele, madre perla, il sottobosco, il Fuji sono altrettanti tentativi di fotografare in tutta la loro dolcezza le meraviglie della natura, che ora si manifesta nella fioritura dei fiori di ciliegio, ora nella conchiglia che svela la perla, ora nelle radici che si intrecciano nel sottobosco, ma soprattutto nell’eruzione di un vulcano e di una deliziosa colata lavica ai frutti di bosco.

Alla fine del nostro viaggio è chiaro perché abbiamo detto che l’ingrediente fondamentale di ogni piatto sia lo spazio, ovvero il territorio che ogni ingrediente racconta. Forse gustare il tempo risulta più complesso, eppure, immergendosi nell’allure di In via Vela 10, è chiaro come non solo la cucina veicoli il passato, ma significa soprattutto futuro. Il locale, in perfetto stile industrial, ha cambiato la narrazione del luogo in cui è sorto e ha dato nuove prospettive alla zona.

Perché un po’ come hanno fatto i protagonisti della storia di In Via Vela10, patron, chef ed eccellente personale di sala, per assaggiare il futuro, basta guardare il presente con occhi diversi.

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