Essere vignaiolo alle Isole Eolie significa avere radici profonde e superare qualunque contrasto. Del resto, lo scriveva anche J.R.R. Tolkien, autore della saga Il Signore degli Anelli e dell’Hobbit: “Le radici profonde non gelano né gli erranti sono perduti…”
Ed il senso (esistenziale) uscito dalle gradevoli conversazioni di qualche sera fa con Simonetta Lorigliola e Nino Caravaglio, rispettivamente giornalista e scrittrice (principalmente di viticoltura) e produttore storico e rinomato di vino alle Eolie, è stato un po’ anche questo: avere spalle larghe con cui affrontare le disavventure della vita, che esse si chiamino fillossera, o pandemia, o crisi economica internazionale. Con il vantaggio che quanti producono vino in questo meraviglioso arcipelago, non solo geografico ma anche vitivinicolo, non sono supereroi o personaggi di fantasia, ma donne e uomini reali, concreti e poetici allo stesso tempo.
“Fare vino alle Isole Eolie richiede un maggiore impegno e ancor più sacrificio – ci ha spiegato, con la sua innata gentilezza Nino Caravaglio pochi minuti prima della degustazione voluta da FIS Sicilia allo Sheraton di Catania – e ci vogliono molta passione e molto impegno, poiché parliamo di una coltivazione che almeno per l’80% è manuale”.
Da qui, da questo termine “manuale”, abbiamo dunque compreso che non è errato scrivere di “artigianalità” della viticoltura quando parliamo di produzioni come quelle di Caravaglio, ma anche di altri nomi storici di queste Isole, come ad esempio Hauner.
“Produrre in simili condizioni – ha proseguito l’imprenditore-agricoltore eoliano – significa alimentare le proprie radici, la propria cultura contadina, poiché la storia stessa delle nostre famiglie coincide con la storia della viticoltura in queste isole”.
Un concetto, questo, spiegato e ribadito molto bene dal volume di Simonetta Lorigliola dal titolo: “Eolie enoiche. Racconti di vini, di isole, di vignaioli sensibili alla terra”, edizioni Derive Approdi, la cui presentazione è andata in scena lo scorso 6 aprile nei locali del Four Points by Sheraton a Catania, con il coordinamento della Fondazione Italiana Sommelier Sicilia, con il suo presidente regionale Paolo Di Caro e con la giornalista e collaboratrice di Sicilia da Gustare Valeria Lopis. Alla vicepresidente FIS Sicilia Agata Arancio, invece, è stata affidata la parte, tanto tecnica quanto poetica e descrittiva, della degustazione di cinque etichette dei vini Caravaglio, prodotti dalla sua azienda in biologico: Infatata 2021, Occhio di Terra 2021, Palmento di Salina 2021, Scampato 2019 e Malvasia delle Lipari Passito 2019.
Nei volti di ospiti e relatori era disegnata, evidente, la gioia di ricominciare ad incontrarsi, a brindare per le tante cose belle che la Sicilia può e deve raccontare. E l’evento enoico, inoltre, andava in scena poco prima del nuovo Vinitaly, 54^ edizione, a Verona.
Il messaggio giunto dall’incontro catanese è stato chiaro: “Il vino è prodotto della terra, sì, ma è anche e soprattutto racconto del territorio. E a noi siciliani fa piacere esportare questo racconto!” ha ribadito Caravaglio.
“La pubblicazione risale all’anno scorso, ma è in questi mesi che lo stiamo presentando – ha precisato la giornalista Simonetta Lorigliola – e ci piace possa rappresentare un motivo per ricordare che le Isole Eolie sono un patrimonio dell’umanità e dell’enologia storica. Magnifiche isole legate alla storia stessa della viticoltura. Sin dai tempi dei greci, dei cretesi, in avanti… Si tratta di un arcipelago che ha vissuto i suoi grandi fasti nel passato, per esempio dal 1600 al 1800, per poi subire un crollo con l’arrivo della fillossera. Ma anche a causa di altri fattori, come l’introduzione della navigazione a vapore, vera batosta per tutti gli eoliani che avevano cantieri di velieri e che basavano la loro economia su questo e sul vino. “Poi – ha proseguito la scrittrice – la grande rinascita qualche decennio fa, certo con un capostipite come Hauner. Ma bisogna precisare che le famiglie in luoghi come Salina hanno continuato sempre a fare il vino, anche solo per il loro consumo, senza mai abbandonarlo. È stato Hauner, dunque, assieme a un gigante come Luigi Veronelli a lanciare la sfida di imbottigliare e far viaggiare la Malvasia delle Lipari. Ecco, questo libro racconta un po’ tutte queste storie, con aspetto molto umano e non certo su commissione”.
E Simonetta, che ha avuto proprio in Luigi Veronelli il proprio maestro e mentore, ricorda come un vino sia sempre un racconto reale, non di fantasia, che traduce il territorio in una forma sensoriale, questo sì. “Il vino è capace anche di essere un testimone che nasconde il suo autore, il vignaiolo. E i vignaioli di queste isole hanno molto da dire e da raccontare. Caravaglio – ha concluso la friulana Lorigliola, che ama smisuratamente queste Isole dinanzi a Milazzo e alla costa messinese e dove fa ritorno ogni anno – è anche un po’ il filo rosso di questo libro. Sono 30 anni che combatte per queste isole meravigliose. Ha avuto la capacità di mettere insieme quasi 40 piccoli appezzamenti, che si traducono dunque in 40 vendemmie, 40 potature, 40 vinificazioni… Insomma, un grandissimo lavoro ed è stato lui in realtà il primo, dopo Hauner, a recuperare il territorio. Si è innamorato, infine, anche delle altre isole ed è stato un po’ esploratore, infatti si definisce vignaiolo eoliano e non di Salina, mettendole tutte sullo stesso piano”.
Ed anche agli altri ospiti, oltre che a noi per questa intervista, l’Autrice ha ribadito le finalità del libro: “Guardare avanti, dire al mondo che potete essere un esempio virtuoso di come l’agricoltura può diventare tutela del paesaggio, dell’ambiente, della viticoltura biologica e anche starter per una nuova forma di turismo, non di massa, che guarda alla bellezza di condivisione di valori. Ho scritto questo volume in circa 4 anni, dopo avere raccolto diverse esperienze dirette e le ho tradotte in racconto. Il vero lavoro della terra ripaga e questi piccoli vignaioli hanno una relazione diretta con tante persone che vanno in cantina, con i ristoratori, che guardano ai valori delle cose. Tutto ciò valeva la pena raccontarlo…”
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