Azioni quotidiane come fare la spesa al supermercato potrebbero presto essere messe in discussione dallo stesso sistema che le permesse per tutto questo tempo. La sostenibilità ambientale è un’esigenza che permea tutti gli ambiti dell’economia. Il cibo però oltre a essere tema del dibattito è strumento d’umanieccezione per veicolare messaggi.
La Food Designer catanese Martina Fiorito ha eletto il cibo come media d’eccezione per comunicare e prospettare scenari futuri alternativi. A Isola Catania, con l’aiuto di Plante Lab, è andata in scena la performance di Future Umami Lab, il supermercato del futuro che vuole rendere facile e accessibile la fruizione di prodotti d’origine vegetali che mantengono il gusto dell’umami, ovvero il gusto tipico della carne.
Cos’è il Food Design e perché ne sentiremo parlare sempre più spesso è la stessa Martina a raccontarlo attraverso il suo vissuto personale che si intreccia perfettamente con le prospettive della società.
Dall’interior design al food design. C’è stato un evento, un’emozione o un aneddoto particolare che ti ha convito a intraprendere questa strada?
Il mio percorso è stato fin da subito non lineare. Ho fatto scienze motorie, poi interior design. Ho fatto il tirocinio in uno studio di architettura, ma sentivo sempre mancarmi un guizzo, una scintilla. Mi sono interessata alla cucina per hobby, quando non sapevo nemmeno cosa fosse il food design. Durante il lockdown mi sono sbloccata, e ho capito davvero che facevo un sacco di cose per distrarmi ma nulla per me. Così ho iniziato un corso di food design che ho scoperto per caso su internet e allora lì ho capito che con il cibo si può comunicare, che serve anche a trasmettere valori e messaggi, a dispetto della componente del gusto e dell’estetica.
Quali sono i messaggi che veicoli attraverso il cibo?
Attraverso il cibo si può parlare dei più disparati argomenti e temi, che cambiano a seconda della propria sensibilità o del momento. Diciamo che il tema della sostenibilità mi colpisce particolarmente, un po’ perché è stata la tematica che ho affrontato nel mio percorso accademico e perché ho visto la realtà del presidio slow food da vicino e condivido la loro battaglia per un consumo e quindi una produzione etica dei generi alimentari.
Una risposta alle criticità del sistema produttivo della carne. Il progetto Future Umami Lab mira a produrre prodotti completamente vegetali al gusto ‘umami’. Perché hai dato questo taglio al supermercato del futuro? Della carne sono necessarie i macronutrienti o il sapore?
Per la nutrizione sono essenziali i macronutrienti, quindi da un punto di vista del mero sostentamento no, il gusto umami è accessorio. Diventa necessario a mio avviso per l’accettazione sociale di un cambio d’alimentazione. Il gusto della carne, che poi è dato dal glutammato presente negli alimenti, piace e molti e pochi rinuncerebbero a quel sapore e non c’è nemmeno motivo per farlo del tutto.
C’è tanta paura di perdere i sapori di quello che conosciamo, però il sapore umami, dato dal glutammato all’interno degli alimenti, è possibile anche usando proteine vegetali, tecniche appositi e ingredienti propedeutici.
Cos’è Future Umami Lab?
Al momento è un concept, un’idea, un’immagine di quello che potrebbe essere il supermercato del futuro, un luogo dove con la stessa facilità con cui noi oggi compriamo il pollo in vaschetta, troviamo prodotti di origine vegetale, a costi accessibili per tutti, e che abbiano il sapore umami.
L’aumento del consumo di carne è correlato all’aumento del tenore di vita. Si potrebbe dire che il consumo della carne sia anche esibizione di status. Tu cosa pensi di questo?
Sono assolutamente d’accordo. Anzi sono tanti i fattori sociali e culturali che portano al consumo di carne. Io mi sono avvicinata alla cucina vegetale per responsabilità, ma non sono vegana e penso che non tutti possano diventarlo al 100%.
La produzione di carne è ecologicamente insostenibile; eppure, dalla filiera dipendono molti lavoratori. Soprattutto qui a Catania. Secondo te come si può promuovere l’etica ambientalista avendo il minor impatto possibile sui lavoratori coinvolti?
Io propongo una rivoluzione ‘gentile’, ovvero per nulla radicale e penso sia anche il metodo per invitare tutti gli altri a fare altrettanto. Ha un effetto maggiormente benefico per l’ambiente un grosso gruppo di persone che riduce della metà il consumo di carne, piuttosto che uno o due singoli individui che rinunciano in toto al consumo di prodotti animali. Il cambiamento non dipende dal singolo, ma dalla collettività e soprattutto avviene in un tempo che permette a tutti di adattarsi. Sono convinta che gli allevamenti possano trovare il loro spazio nell’alimentazione del futuro, ma no come li conosciamo oggi e che il sistema possa cambiare la produzione da quantitativa a qualitativa mantenendo posti e profitti.
Oppure cambiare tipologie di allevamenti…il valore nutrizionale degli insetti non si discute, bisogna solo accettarlo culturalmente.
Progetti futuri dopo l’esposizione a Isola Catania?
Il mio prossimo progetto sarà una cena sensoriale, dove ogni colore esprimerà un tema sociale, come l’inclusività, la percezione del proprio corpo.
Ultima domanda, molto provocatoria: sceglieresti mai come luogo di un tuo progetto o installazione via più ‘autentiche’ di Catania, come via Plebiscito?
Ci sono delle differenze sociali che bisogna sempre considerare e credo che ancora sia presto per lanciare certi messaggi in certi contesti. La sensibilità alla sostenibilità è una cosa che è stata maturata nel corso del tempo e io penso che nelle zone più popolari della città sia ancora in corso quel processo e che debba passare da precedenti tappe come la comprensione dell’importanza della provenienza della carne e dei prodotti a km0 e di altri temi che sono l’anticamera della sostenibilità. Spero in futuro di potere fare un’installazione ovunque.
Credit Image: Giorgio di Gregorio
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