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E le stelle stanno a guardare…

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Tempo di forchette, stelle, cappelli, rito autunnale delle guide per promuovere o silurare la ristorazione italiana. Ha ancora senso tutto questo?

Gli esami non finiscono mai. Aveva ragione il grande Edoardo, ma per gli chef questa massima sembra essere diventata una condanna. Non esiste altro lavoro più sottoposto a valutazione continua come quello degli chef: dai clienti ai critici gastronomici. Eppure trovarsi nelle guide, soprattutto in quelle più blasonate, ricevere una stella o una forchetta, a torto o ragione, è il chiodo fisso di tutti gli chef. Ma il gioco vale la candela? Dall’ultima edizione della rossa Michelin viene fuori una Sicilia con una ristorazione paralizzata: una stella in meno, compensata con la nuova stella al ristorante Gagini di Palermo. In totale 16 ristoranti stellati, di cui il Duomo di Sultano e La Madia di Cuttaia con due stelle, il resto con una stella. Davvero l’eccellenza della cucina siciliana si trova in un così numero ristretto di ristoranti? E tutti gli altri? La Sicilia conta un gran numero di chef, giovani e meno giovani, che ogni giorno deliziano i clienti con piatti che attualizzano una tradizione culinaria millenaria, con materie prime di prim’ordine e preservando sempre l’equilibrio gustativo. Se è vero, come dicono alla rossa, che “le stelle sono nel piatto” (ma non è vero!), all’appello mancano un gran numero di ristoranti. Probabilmente aveva ragione il grande Gualtiero Marchesi, quando tanti anni fa rifiutò le stelle e molti non capirono. Chef come Massimo Mantarro, Seby Sorbello, Paolo Romeo, Giuseppe Geraci nella Sicilia orientale, Carmelo Trentacosti, Paolo Romano, Peppe Agliano, Max Ballarò nella Sicilia centro occidentale, solo per citarne alcuni, rappresentano un’eccellenza nella ristorazione siciliana eppure non hanno stelle. Forse nel terzo millennio è opportuno rivedere i sistemi di valutazione, o forse cambiarli radicalmente. Oggi quello che si chiede a una guida gastronomica è di dare informazioni sulla cucina di un ristorante, sullo chef, sui vini, sull’ambiente, in modo da aiutare a scegliere l’utente. Il resto non serve, non servono stelle, cappelli o forchette perché disorientano e non danno la giusta rappresentazione della realtà. Qualcuno ha detto che alla rossa è consentito tutto, anche di sbagliare. Non è così! La ristorazione siciliana negli ultimi trent’anni ha fatto passi da gigante e non può essere imbrigliata in giudizi superficiali, che spesso rispondono ad altre logiche che non hanno nulla a che fare con l’eccellenza della cucina. Il fatturato di un ristorante non è affidato alle stelle, ma al collaudato meccanismo del passaparola, con buona pace della rossa e delle altre guide blasonate!

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