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Dalla ricerca dell’essenza al dialogo con i colleghi: Accursio Craparo e la sua cucina dell’idea a Lavica Gourmet Festival

Accursio Craparo

Non tutti i Lunedì sono uguali. Il 29 Maggio si inaugurerà una nuova settimana e Lavica Gourmet festival, un evento che si preannuncia peculiare e rivoluzionario per l’alta ristorazione siciliana. Membro d’eccellenza del gotha della cucina d’eccellenza e di Les Collectionneurs lo chef Accursio Craparo, che con la sua cucina dell’idea è in grado di arrivare alla pancia e all’intelletto.

Si discute spesso della filosofia, dell’idea che ispira l’identità culinaria degli chef. Nel caso di Accursio Craparo, stella Michelin nel 2016 a Modica per il ristorante suo omonimo, oltre che di idea della cucina, bisognerebbe parlare di cucina dell’idea. Sì, perchè lo chef agrigentino, nel suo procedere verso l’eccellenza, sembra aver assunto un metodo squisitamente platonico-socratico, in cui il dialogo costante con gli attori della filiera agroalimentare serve per cercare di afferrare l’essenza della cucina siciliana.

Nei piatti dello chef Craparo si consuma un paradosso sfizioso: se il gusto eccellente è capace di parlare immediatamente alla pancia, il concetto sfida l’intelletto.
Sempre più imminente, ma sempre più urgente: anche noi non vediamo l’ora di vivere quel simposio contemporaneo che sarà Lavica Gourmet Festival, ma al momento ci godiamo l’antipasto di chef Accursio Craparo.

Personalmente sono alla continua ricerca di un confronto con i miei colleghi, così come con i miei ospiti e con gli artigiani produttori delle eccellenze che scegliamo di utilizzare i cucina. Cucinare insieme, poi, è una delle esperienze più divertenti da condividere. Sono certo che sarà un bell’evento.

Lei afferma che vuole reinterpretare la cucina siciliana fuori dallo stereotipo. In quale stereotipo è intrappolata, secondo lei, la nostra tradizione?
Non voglio essere frainteso, lo dico da cuoco che si è nutrito di tutte le memorie e di tutte le emozioni che ha assorbito nel corso della propria vita. Tuttavia ho spesso la sensazione che a volte ci limitiamo a considerare la tradizione in termini culturali e questo ci allontana da una capacità di interpretazione dei suoi elementi naturali. Sono convinto che il valore della cucina siciliana sia nella straordinaria biodiversità che custodiamo. È la natura, pura e semplice, che poi sa suggerire la strada a chi vuole farne nuovo pensiero e nuova cultura. In questo sto sperimentando anche l’evoluzione del mio lavoro: andare persino oltre la tradizione, andare persino oltre la memoria, e innovare partendo da una radice che è l’impronta espressa dal territorio a prescindere dalla nostra stessa presenza: puntiamo a ciò che l’essenza delle sue materie è in grado di suggerire alla cucina, se si torna a posarvi sopra uno sguardo vergine, privo di ogni sovrastruttura che la stessa tradizione vi ha stratificato.

Lei è originario di Sciacca, ma adesso è modicano. Quali sono le anime delle due città che lei esprime nei suoi piatti?
La città in cui sono cresciuto ha l’anima dei pescatori, quella che mi ha adottato l’anima dei contadini. In realtà il mio desiderio non è mai quello di celebrare l’una o l’altra, ma sempre quello di far nascere un’unità più grande dalla loro somma, dalla loro combinazione, e così sforzarmi di rappresentare l’intera Sicilia e presentarla per intero a chi viene a scoprirla attraverso la mia cucina. In quasi tutti i miei piatti questi elementi del mare e della campagna convivono in modo armonico. Dal menu di questa stagione potrei farvi due esempi. Il primo è “l’Arancino si chiude a riccio”, un arancino di riso con gamberi, ricci e mozzarella che ricorda il riccio di mare appoggiato sul suo scoglio: è un piatto di pesce, certo, ma ho scelto di portare l’equilibrio nel piatto e di rievocare la spuma del mare stesso attraverso la mozzarella, tra i grandi prodotti dell’altopiano ibleo. Lo stesso ho fatto con “fave, pistacchio e calamaro”: un piatto che per me ricorda le notti in cui, da ragazzo, andavo a pesca coi miei amici; in questo caso ho scelto di ricreare il fondale sabbioso con un macco di fave modicane, uno dei simboli più autentici della tradizione contadina di questo territorio.

Da dove nasce l’esigenza dell’eleganza e la pulizia formale del piatto?
Così come ho sempre voluto evitare gli stereotipi, allo stesso tempo ho sempre pensato che la Sicilia intera, non solo quest’angolo del Val di Noto, sia una terra complessa, piena di energia e di potenza, che però può essere raccontata in cucina con armonia ed eleganza. Questa è la mia regola principale. Posso dire che mi guida l’idea di raggiungere l’essenza del territorio e di interpretare quasi il ruolo di un messaggero capace di raccontarlo con un nuovo linguaggio, con una forma che lo renda immediatamente leggibile e comprensibile attraverso l’emozione ancestrale che solo il cibo, esigenza vitale e al contempo intellettuale, sa sintetizzare.

Cosa si aspetta da Lavica e dall’incontro con alcune e interessantissime realtà produttive?
Personalmente sono alla continua ricerca di un confronto con i miei colleghi, così come con i miei ospiti e con gli artigiani produttori delle eccellenze che scegliamo di utilizzare i cucina. Cucinare insieme, poi, è una delle esperienze più divertenti da condividere. Sono certo che sarà un bell’evento.

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