“O quando tutte le notti – per pigrizia, per avarizia – ritornavo a sognare lo stesso sogno: una strada color cenere, piatta, che scorre con andamento di fiume fra due muri più alti della statura di un uomo; poi si rompe strapiomba nel vuoto”.
L’incipit di Diceria dell’Untore sembra la clausura in loop che stiamo vivendo, il malinconico capolavoro barocco scritto da Gesualdo Bufalino che anticipa temi che mai avremmo pensato di vivere in prima persona.
Un incubo collettivo che ci inchioda alle finestre di casa, regalando tuttavia un tempo inatteso, un extra che ciascuno usa come può.
Azzerati i rapporti con l’esterno, rimane a scaldarci i palmi il focolare domestico e, da dietro i portoni chiusi, la sensazione è che quel mondo grande e pieno di opportunità sia in stand bye, in attesa su per le scale, in sosta sui nostri pianerottoli, pronto ad essere ripreso (con più forza di prima) appena sarà possibile.
Il silenzio si spande dalle strade, si flette insinuandosi nei battenti dei ristoranti serrati, inaccessibili come le salette dell’appartamento di Palazzo Rocca al 31 di via Capitano Boccheri, in quella Ragusa Ibla trasognante di architetture virtuose e ammalianti.
La mente pratica che abita questa “Terra Matta” è Ciccio Sultano, cuoco trasformatore, bistellato stratificatore di materia prima e civiltà nel piatto.
Nel suo Duomo, condotto per mano in coppia con il direttore Gabriella Cicero, si tracciano le rotte della geografia del presente, il cibo è esperienza, storia, saper mettere. A chi, se non a lui, chiedere di cosa ci aspetta dopo questo difficile momento? Lo abbiamo raggiunto telefonicamente in una tarda mattinata di vento e sole.
Come sta vivendo Lei questo tempo sospeso a causa dell’emergenza sanitaria in corso? Si dedica allo sviluppo di nuovi progetti o piuttosto usa questo momento per vivere un tempo in famiglia e con se stesso?
“I progetti c’erano e sono sospesi. È come se ci ritrovassimo al buio in una grande stanza. Quando riaccenderemo la luce, sarà tutto da ridiscutere, rivedere, rimodulare, cambieranno radicalmente le prospettive a livello umano, professionale e sociale.”
C’è un piatto o un cibo del paniere siciliano che sta riscoprendo in questo forzoso momento domestico?
“Non sto sperimentando. In questo momento, non mi metto a inventare ricette. Resto un cuoco che quando ha voglia di qualcosa se la cucina in maniera semplice, cercando di non sforare la dieta. Mi faccio, ad esempio, il pane e la cosa mi rilassa molto. Se anche il nostro mondo è chiamato a parlare, dovrebbe limitarsi a dire due parole: restate a casa. Solo questo. Non è il tempo di fare i giullari.”
Quale potrà essere il futuro dell’alta gastronomia? A Lei e alla Signora Gabriella chiediamo: quali saranno gli aspetti su cui puntare domani?
“Continuerò insieme a Gabriella, il mio general manager nel lavoro e nella vita, per la stessa strada, lavorando a una grande cucina siciliana, internazionale per vocazione, evitando come ho fatto finora di accodarmi alle varie mode europee od esotiche. Certo è che, dopo un tale cataclisma, l’alta cucina, che continuerà a esistere, dovrà rimettere i piedi per terra e farsi più cucina. Meno corsa ai riconoscimenti, ai palchi e palchetti.”
Che cosa potrebbe insegnarci a suo avviso quest’esperienza sul rapporto uomo – ritmi – natura?
“Per quanto mi riguarda ho sempre avuto un rispetto, direi addirittura un timore profondo, della natura. Forse, la lezione del Coronavirus insegnerà quel po’ di umiltà che manca nel cuore di certi potenti in Europa e altrove. Abbiamo bisogno subito di un mondo più pulito, più giusto, più equilibrato. L’aveva detto già Bill Gates, ragionando con una mente da matematico: un’epidemia, prima o poi, rischia di decimarci.”
Nell’emergenza gli uomini si riscoprono umani, vulnerabili e tutti pervasi dalle stesse preoccupazioni e sentimenti. In questo momento il cibo unisce più che mai e diventa un linguaggio universale di speranza, ci piacerebbe una sua riflessione in proposito.
“Il cibo è un gesto quotidiano e come tale è un gesto comune, senza frontiere. Il cibo unisce, ma può anche confondere. Le faccio un esempio. Quando sono rientrato dalle vacanze, era rimasto un pezzo di pane con un po’ di muffa. Non l’ho buttato, perché mi hanno insegnato che non si fa mai, l’ho grattata via e me lo sono mangiato. Rispettando il cibo, si inizia a rispettare la vita. Io sono una persona concreta, dura soprattutto con se stessa, un guerriero e se, certe volte, si ha voglia di piangere, meglio farlo; non è debolezza, ma consapevolezza.”

PhotoCredits: Marcello Bocchieri
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