La storia attraversa le cucine, in uno scambio alchemico e circolare, e non sempre ci accorgiamo di avere a tavola “Il diamante nel piatto”. È questa l’intuizione di Anna Martano, scrittrice e giornalista enogastronomica, esperta di gastronomia storica siciliana, gastronoma e gastrosofa, che nelle cento ricette raccolte per il suo libro traccia un asse temporale e da questo ripercorre le fitte trame delle dominazioni, tra civiltà e sapori tradizionali.
Per un siciliano consultare il suo libro è come sfogliare un album di ricordi di famiglia: le ricette preziose del Natale, il gusto delle interminabili tavolate della domenica, l’apoteosi dei dolci fine pasto dei giorni di festa. Un fenomeno che, a meno di un anno dalla prima uscita, ha permesso alla Martano di classificarsi fra i finalisti del Premio Iolanda, l’unico concorso letterario nazionale per i libri gastronomici, con una giuria con nomi quali Catena Fiorello, Stefano Zecchi, Carlo Cambi ed altri autorevoli professionisti del settore.
Incontriamo l’Autrice per qualche domanda di approfondimento fra gli stand di Mediterraria, il primo salone esperienziale dedicato all’enogastronomia del Mediterraneo, dove è stato possibile parlare di sostenibilità, filiera corta e identità.
Nel tuo “Il diamante nel piatto. Storia golosa della Sicilia in 100 ricette e cunti” spazio alle ricette ma anche ai “cunti”, i racconti che tracciano la genesi di ogni preparazione. Come ti sei preparata alla stesura di un libro che non è solo un ricettario? Quali le fonti?
“Le fonti sono principalmente le persone, la loro memoria, i loro ricettari di famiglia. Ho parlato con tante donne e tanti uomini, casalinghe e pescatori, nonne e contadini, nobili e gente comune… a loro ho chiesto di raccontare e raccontarsi. E poi i libri… i libri di storia, di antropologia, le ricerche svolte da grandi studiosi come Pitré, Antonino Uccello, il Colonnello Coria, il Maestro Pino Correnti. Ancora le memorie familiari raccontate da tanti esponenti di famiglie siciliane, come Fulco di Verdura, ad esempio. Libri cercati nelle librerie antiquarie, recuperati dalle bancarelle nei mercatini, cercati con pazienza e curiosità. Pezzi di un puzzle che, pian piano, è diventato Il diamante nel piatto”.
Il diamante citato nel titolo è la Sicilia, lo spieghi bene nel libro con i versi di un poeta (anonimo). Cosa ti affascina dell’isola, è una questione di gente, clima, colore, atmosfera?
“La Sicilia è un continente, un continente che ne guarda altri tre: guarda ad est, all’Asia, a nord, all’Europa, a sud, all’Africa, ed è al centro di un mare che unisce e abbraccia. La Sicilia è un continente che esprime una straordinaria varietà morfologica che diventa varietà microclimatica e, quindi, biodiversità. Tutti sono passati da qui e questo ha determinato un’eccezionale etnodiversità. Elementi naturali e culturali che offrono suggestioni, che costituiscono una sorta di labirinto in cui scoprire sempre qualcosa di nuovo, che non conoscevi ma in cui, in qualche modo, ti riconosci”.
La premessa di Alex Revelli Sorini parla chiaro: tutto parte dal territorio, non c’è cibo se non lo si mappa con una provenienza, che a sua volta è cultura ed identità. Geograficamente in quale parte della Sicilia ritieni che vi sia maggiore tutela nel saper comunicare e tutelare i prodotti?
“Territorio è genius loci. Tutto inizia da lì e sono convinta che la Sicilia potrà avere un grande futuro solo se saprà recuperare il suo grande passato, la sua storia e le sue tipicità per farne ricchezza, lavoro, occupazione, crescita sociale, economica e culturale. In questo senso, qualche territorio, come l’Etna o la zona del Ragusano o Noto sono un po’ più avanti, ma altri, come l’Agrigentino, ad esempio, stanno recuperando bene. Sabato prossimo, giorno 21 nel pomeriggio, avrò il piacere di essere ospite della Sagra dell’Arancia di Ribera dop e, in quell’occasione, avrò modo, attraverso le ricette storiche a base d’arancia presenti ne Il diamante nel piatto, di offrire il mio modesto contributo culturale alla valorizzazione di un prodotto importante”.
Esiste un rischio globalizzazione anche nelle nostre cucine? Oppure ritieni che anche ai giorni nostri l’internazionalizzazione è frutto di un naturale processo storico e incorporare le influenze possa essere un arricchimento?
“All’inizio del fenomeno, la globalizzazione ha prodotto una sorta di omologazione anche alimentare. Ma le persone e le culture sono più forti e, paradossalmente, la globalizzazione ha suscitato due fenomeni complementari: la riscoperta delle identità gastronomiche locali e la crescente curiosità verso le culture altre in uno scambio che è conoscenza e arricchimento culturale collettivo. Uno scambio che, attraverso il cibo, crea dialogo tra i popoli, costruisce pace e fratellanza, insegnando a tutti e a ciascuno che la diversità è ricchezza e bellezza”.
Greci, Romani, Arabi, Normanni, ma anche i Vicerè, i Borboni e poi fino all’Unità d’Italia: secoli di dominazioni, culturali e politiche, partite giocate anche sulle tavole: a tuo avviso quale delle tante civiltà passate in Sicilia ha lasciato maggiormente la propria impronta gastronomica?
“In realtà, in questa meravigliosa mescolanza che é la nostra gastronomia, tutti hanno lasciato un’impronta fatta di colture e culture. Ma ve ne sono due che hanno, davvero, segnato la storia. Gli Arabi, certamente, con l’introduzione dello zucchero, che è stata una vera rivoluzione: prima di loro si dolcificava solo con miele o manna o melassa che, però, non consentono le stesse preparazioni. E poi gli Spagnoli: che vita sarebbe senza cioccolato? Cioccolato che, nella cucina storica siciliana, sul modello di quella del Centro e Sud America, trova eccellente e gustoso impiego anche nelle preparazioni salate come lo sciabbó di Castrogiovanni e la salsa di San Bernardo, entrambe presenti nel libro. Piatti che i miei ospiti gradiscono immancabilmente”.
Viviamo un’epoca veloce: fra le 100 ricette del tuo libro ne possiamo citare una rapida e di sicuro successo?
“Di sicuro successo tutt’e cento, sono tutte buonissime. Veloci e di semplice esecuzione ve ne sono molte. Un’idea per il dessert di Natale? La gelatina al rhum, il dolce preferito dal Principe di Salina. Facile e veloce da realizzare ma elegante e sontuoso. Insomma, con poca spesa e poca fatica, fa “ffari figura”.
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