Non si può essere innovatori senza guardare alla tradizione e non si può essere tradizionalisti senza essere innovatori.
Riofavara è un’azienda vitivinicola a conduzione familiare che ha conquistato mercati lontani, come Canada, Australia, Giappone e USA; ottenuto premi del calibro di Mundus Vini e Gambero Rosso; ricevuto riconoscimenti attraverso riviste specializzate del settore: Guida Veronelli, Guida Slow Wine di Slow Food e Guida de L’Espresso.
Per conoscerne meglio le origini e la visione del mondo vitivinicolo, abbiamo intervistato il suo team per voi.
Cosa vi ha portato a scegliere di diventare produttori di vino?
Una risposta esaustiva sarebbe molto complessa, la verità risiede nel profondo attaccamento ad alcune immagini, emozioni e interpretazioni del territorio in cui vivo, la storia stessa della mia famiglia. Mi piace pensare ad una particolare forza che può avere un prodotto come il vino nel “descrivere” senza parole alcune caratteristiche del luogo in cui viene coltivato.
Sì, il vino viene coltivato sotto tanti aspetti: dapprima in campagna, nel suolo, nelle contrade; dopo nel luogo in cui viene trasformata la materia prima, l’uva.
Come azienda vi definite più tradizionali o innovativi?
Chi si dedica al vino come produttore o vignaiolo, termine forse più in voga, lo fa in modo maniacale senza mezzi termini e senza pause di riposo. Ci si alza al mattino presto avendo sempre in testa questo elemento liquido che vive, si trasforma e cambia, giorno dopo giorno.
Non si può essere innovatori senza guardare alla tradizione e non si può essere tradizionalisti senza essere innovatori.
Utilizzerei il termine classico da contrapporre ad innovativo, in quest’ ultimo inserirei molti produttori tecnologici e naturalisti estremi.
A quale dei vostri prodotti siete più legati e perché?
Con il cuore sono legato al San Basilio, il mio primo vino, ideato assieme a mio padre!
Mi disse: “Il vino deve sempre riportare il nome della vigna in cui si produce”. Dopo anche gli altri sono stati e sono tutti frutto di attente riflessioni.
Quali caratteristiche uniche hanno i vostri vini? E chi li apprezza di più?
I nostri vini non hanno caratteristiche uniche, i nostri vini interpretano un luogo, un territorio, una vigna; questi sì, sono elementi unici. La irripetibilità dei vini-vigna risiede proprio in questo.
Anni addietro i vignaioli/contadini impiantavano le loro vigne mettendoci dentro delle piccole percentuali di altri vitigni: questa scelta unita alla contrada, alla mano dell’uomo e al suolo creava vini irripetibili. Li apprezzano in tanti ma non posso dare un’identificazione ben precisa.
La cosa che noto di più è la richiesta di vini che hanno carattere e longevità, nervo e pulizia.
A quali piatti tipici si abbinano meglio i vostri vini? E se parliamo di tradizione culinaria italiana cosa cambia?
Ho sempre avuto delle difficoltà per gli abbinamenti da suggerire, forse perché amo la cucina semplice e con pochi ingredienti.
Direi che quasi sempre suggerisco i miei rossi con il tonno rosso fresco del Canale di Sicilia.
I bianchi sempre, cioè da bere sempre… da provare con qualsiasi piatto a base vegetale, buono e con ingredienti di qualità.
Com’è il vostro rapporto con i mercati esteri?
Ottimo. I mercati esteri sono quelli più esigenti ma anche i più preparati, l’Italia invece soffre di una certa impreparazione nel sistema, è troppo legata al vino del momento o al vino alla moda.
Ma il vino non può essere un prodotto modaiolo, una vigna quando si impianta deve durare 100 anni almeno. Qui in Italia si è piantato di tutto e ovunque anche in zone poco vocate. I prossimi anni saranno importantissimi per stabilizzare il mercato interno.
Sarà compito delle associazioni di categoria far maturare il consumatore.
Quale ingrediente ritenete indispensabile per il vostro lavoro?
La passione in primis e poi tanta pazienza…
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